Categoria: Geriatria

Radicali Liberi di Ossigeno: amici o nemici dell’invecchiamento?

Si stima che nel 2060, circa il 30% della popolazione europea sarà costituito da ultraottuagenari. In un mondo che invecchia rapidamente, una delle principali sfide della ricerca biomedica è migliorare la qualità di vita dell’anziano e al contempo contenere la crescente spesa sociosanitaria dedicata alla gestione delle malattie geriatriche. Per esempio, il solo trattamento delle ulcere cutanee recidivanti, un problema tipico dell’anziano, costa ora ai sistemi sociosanitari europei circa il 2% dell’intero budget allocato, mentre negli USA il loro trattamento costa annualmente più di venticinque miliardi di dollari. Quindi, se da un lato l’aumento dell’aspettativa di vita nei paesi occidentalizzati può considerarsi un grande successo della medicina moderna, dall’altro lato, l’impennata di malattie geriatriche ad esso associato rischia di diventare il tallone d’Achille dei sistemi sociosanitari e assistenziali. La ricerca di soluzioni maggiormente efficaci e sostenibili alle problematiche dell’invecchiamento rappresenta dunque un obiettivo strategico fondamentale del programma di finanziamento alla ricerca scientifica “Horizon 2020” della Comunità Europea.

Il pronto soccorso ospedaliero: eventi sentinella per il trattamento dell’anziano pluripatologico

Il pronto soccorso ospedaliero: eventi sentinella per il trattamento dell’anziano pluripatologico

Carmine Macchione

Introduzione

Recenti episodi, tra loro differenti sia nella sostanza che per i protagonisti impegnati, riportati dai media, non sempre in modo corretto in verità, necessitano di qualche doverosa nota di commento. Alcuni di essi riguardano l’operato dei medici nel Pronto Soccorso ospedaliero. Altri si riferiscono alla morte di due giovani donne, affette da leucemia acuta e curate con procedure della Medicina alternativa. Episodi come questi possono, e spesso lo sono, essere manipolati dai media e assumere una connotazione scandalistica. Sulla scorta di un moralismo spicciolo, viene enfatizzato il lato più appariscente che nell’uno e nell’altro caso porta ad esaltare e scatenare l’emotività del lettore.

Il vecchio cattivo

Il vecchio cattivo

“C’è tanta gente malvagia nel mondo, la scienza ha fatto passi da gigante, ma ciò che spinge l’uomo a far del male rimane incomprensibile, forse perché la profondità della cattiveria per noi è insondabile
NCIS – Unità anticrimine

“Non ho paura della cattiveria dei malvagi, ma del silenzio degli onesti”
Martin Luther King

Dovendo parlare della cattiveria dell’anziano, argomento del tutto negletto dalla ricerca gerontologica, salvo pochi encomiabili e importanti contributi, desidero iniziare con un ossimoro, dicendo che anche l’amore può essere cattivo, quando è incapace di comprendere l’aiuto ricevuto ed essere riconoscente. A tal proposito ricordo una favola che la nonna, quella si che era buona, raccontava a noi nipoti, quando nelle serate d’inverno eravamo tutti raccolti attorno a un braciere, godendo il caldo e il racconto. Era una favola di Hans Christian Andersen sul bambino cattivo. Una sera di tregenda, pioveva a dirotto, un vecchio poeta sentì bussare alla porta. Aprì e vide un bambino, biondo, bello come un angelo, con due occhi lucenti come due stelle e con un arco un po’ sbilenco sulla spalla le cui frecce per l’intensa pioggia erano diventate tutte storte. Era tutto bagnato, tremante, pallido e al limite dell’assideramento. Il vecchio poeta, intenerito, lo fece entrare, lo asciugò, lo riscaldò, gli fece bere del vino e mangiare una mela e seppe che il bambino si chiamava Amore e che sapeva tirare bene con l’arco. Il bambino, che si era ripreso, incominciò a manovrare l’arco, a raddrizzare le frecce e, dopo un poco esclamò “adesso si è asciugato e le frecce sono tutte dritte e ora lo posso anche provare”, e con destrezza mise una freccia nell’arco, mirò e colpì il vecchio al cuore. “Hai visto che il mio arco non si è rovinato” Ridendo e cantando uscì senza preoccuparsi del vecchio, che, ferito, giaceva gemente al suolo. La morale della favola è che anche l’amore può manifestare comportamenti cattivi e, in accordo con la filosofia di Schelling, il Bene può anche generare il Male.

Importanza dell’educazione all’invecchiamento attivo in una Italia sempre più longeva

Il progressivo incremento della speranza di vita alla nascita o durata media della vita è il fenomeno demografico di maggiore interesse degli ultimi decenni rappresentando una vera e propria rivoluzione. La speranza di vita alla nascita (Tabella 1) che in Italia era di 42,8 anni nel 1901, di 50,2 nel 1921, di 60,0 nel 1950 e di 73,1 nel 1980, è passata a 83 anni nel 2015 (80,1 per gli uomini e 84,7 per le donne, secondo Istat 2016). Importante è anche sottolineare che l’aspettativa di vita a 65 anni è di circa 18 anni per gli uomini e di circa 22 anni per le donne, mentre a 80 anni è di circa 8 anni per gli uomini e di circa 10 anni per le donne.

Come conseguenza dell’aumento dell’aspettativa di vita si è determinato un notevole incremento degli ultrasessantacinquenni che rappresentavano il 13,1 % nel 1981 mentre rappresentano al primo gennaio 2015 il 21,7 % della popolazione. A questo incremento ha corrisposto un progressivo aumento degli ultraottantenni e degli ultranovantenni ed in particolare dei centenari passati dalle 49 unità del 1921 a 6.313 nel 2001 ed infine a circa 17.000 nel 2013 (donne 83,7%, uomini 16,3%).

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza (parte seconda)

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza

Parte seconda

 

Disturbi mentali con comportamenti violenti dell’età evolutiva

Sono disturbi mentali che insorgono nell’età evolutiva e si manifestano con un quadro clinico in cui sono costanti o frequenti comportamenti violenti di vario tipo.
Con riferimento ai criteri diagnostici del DSM-5, la classe dei disturbi mentali che presentano le suddette caratteristiche comprende il gruppo dei disturbi da comportamento dirompente, i disturbi del controllo degli impulsi e i disturbi della condotta, caratterizzati da comportamenti che violano i diritti degli altri (quali aggressioni e distruzione della proprietà degli altri), e/o mettono l’individuo in contrasto significativo con norme sociali o figure che rappresentano l’autorità. Poiché tali comportamenti si possono manifestare durante il normale sviluppo, per poterli diagnosticare come sintomi di un disturbo è necessario valutarli in rapporto a ciò che è ritenuto “normale” per l’età, il genere e la cultura dell’individuo.

I fattori di rischio dei disturbi mentali con comportamenti violenti si distinguono in:

  1. temperamentali (quali ad esempio alti livelli di reattività emozionale e scarsa tolleranza alla frustrazione);
  2. fattori ambientali (pratiche educative rigide, incoerenti negligenti, condizioni di deprivazione fisica ed affettiva, associazione ad un gruppo di coetanei delinquenti e l’esposizione alla delinquenza);
  3. fattori genetici (eredofamiliarità per disturbi mentali, anomalie cromosomiche, disturbi mentali disturbi della condotta o criminalità dei genitori);
  4. fisiologici (anomalie della reattività del sistema limbico, della corteccia prefrontale, dell’equilibrio dei neurotrasmettitori e degli ormoni sessuali), frequenti cambi di caregiver.

Il gruppo dei disturbi da comportamento dirompente comprende il disturbo oppositivo provocatorio e disturbo esplosivo intermittente.

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza (parte prima)

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza

Parte prima

 

L’aggressività e la violenza secondo la filosofia, i naturalisti, la psichiatria, la psicanalisi, il comportamentismo e l’etologia

Per aggressività si intende l’inclinazione di un organismo vivente a sviluppare comportamenti offensivi nei confronti di altri organismi viventi, che possono raggiungere un’intensità tale da provocarne la morte. Si tratta di una caratteristica del mondo animale, di cui l’uomo fa indubbiamente parte, che spinge l’aggressore verso comportamenti orientati ad appropriarsi di un altro organismo vivente ai fini della propria nutrizione o ad affermare il potere di dominio e di difesa del proprio territorio o ad avere la supremazia all’epoca degli amori: l’aggressività può essere quindi predatoria, da difesa e da competizione sessuale.

Da Conrad Lorenz l’’aggressività è definita come la pulsione combattiva diretta contro i membri della stessa specie, tanto negli animali quanto nell’uomo.

Secondo il World report on violence and health (Geneve 2002), la violenza umana è sinonimo di prepotenza, angheria, brutalità, prevaricazione ed esprime l’uso intenzionale di forza fisica o di potere, minaccioso o reale, contro una persona o un gruppo di persone o una comunità, che comporta o ha una alta probabilità di comportare lesioni fisiche, morte, danno psicologico, e/o deprivazione.

La violenza può essere fisica o verbale, in quanto si può attuare con atti di aggressione fisica rivolti a provocare lesioni più o meno gravi o con modalità verbali e/ o gestuali, volte ad offendere, umiliare tratti caratteristici della personalità altrui, come il sentimento di libertà o il sentimento di autostima e di dignità.

Negli animali predatori, la violenza è regolata sia dall’apparato della vita di relazione, costituito da organi con cui l’animale si mette in contatto con l’ambiente esterno (organi sensitivo-sensoriali e del sistema nervoso centrale) sia dall’apparato osteo-artro-muscolare, preposto ai movimenti del corpo nello spazio e dei suoi segmenti tra di loro.

Nell’uomo, il cervello, l’organo preposto all’interpretazione degli stimoli e all’elaborazione della relativa risposta, essendo particolarmente sviluppato, risulta provvisto della proprietà di contenere l’aggressività ovvero di poterla tradurre in comportamenti violenti.

Prima ancora che i cultori della scienza della natura e dei fenomeni sociali studiassero scientificamente l’aggressività e la violenza, Hobbes e Rousseau furono i più autorevoli filosofi che hanno teorizzato il comportamento originario dell’uomo.

Secondo la teoria di Thomas Hobbes (1588-1679), esposta nel “Leviatano” (1651), il comportamento dell’uomo allo stato di natura è dominato dall’aggressività e dalla violenza.

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