Categoria: ACSA Magazine

Importanza dell’educazione all’invecchiamento attivo in una Italia sempre più longeva

Il progressivo incremento della speranza di vita alla nascita o durata media della vita è il fenomeno demografico di maggiore interesse degli ultimi decenni rappresentando una vera e propria rivoluzione. La speranza di vita alla nascita (Tabella 1) che in Italia era di 42,8 anni nel 1901, di 50,2 nel 1921, di 60,0 nel 1950 e di 73,1 nel 1980, è passata a 83 anni nel 2015 (80,1 per gli uomini e 84,7 per le donne, secondo Istat 2016). Importante è anche sottolineare che l’aspettativa di vita a 65 anni è di circa 18 anni per gli uomini e di circa 22 anni per le donne, mentre a 80 anni è di circa 8 anni per gli uomini e di circa 10 anni per le donne.

Come conseguenza dell’aumento dell’aspettativa di vita si è determinato un notevole incremento degli ultrasessantacinquenni che rappresentavano il 13,1 % nel 1981 mentre rappresentano al primo gennaio 2015 il 21,7 % della popolazione. A questo incremento ha corrisposto un progressivo aumento degli ultraottantenni e degli ultranovantenni ed in particolare dei centenari passati dalle 49 unità del 1921 a 6.313 nel 2001 ed infine a circa 17.000 nel 2013 (donne 83,7%, uomini 16,3%).

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza (parte seconda)

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza

Parte seconda

 

Disturbi mentali con comportamenti violenti dell’età evolutiva

Sono disturbi mentali che insorgono nell’età evolutiva e si manifestano con un quadro clinico in cui sono costanti o frequenti comportamenti violenti di vario tipo.
Con riferimento ai criteri diagnostici del DSM-5, la classe dei disturbi mentali che presentano le suddette caratteristiche comprende il gruppo dei disturbi da comportamento dirompente, i disturbi del controllo degli impulsi e i disturbi della condotta, caratterizzati da comportamenti che violano i diritti degli altri (quali aggressioni e distruzione della proprietà degli altri), e/o mettono l’individuo in contrasto significativo con norme sociali o figure che rappresentano l’autorità. Poiché tali comportamenti si possono manifestare durante il normale sviluppo, per poterli diagnosticare come sintomi di un disturbo è necessario valutarli in rapporto a ciò che è ritenuto “normale” per l’età, il genere e la cultura dell’individuo.

I fattori di rischio dei disturbi mentali con comportamenti violenti si distinguono in:

  1. temperamentali (quali ad esempio alti livelli di reattività emozionale e scarsa tolleranza alla frustrazione);
  2. fattori ambientali (pratiche educative rigide, incoerenti negligenti, condizioni di deprivazione fisica ed affettiva, associazione ad un gruppo di coetanei delinquenti e l’esposizione alla delinquenza);
  3. fattori genetici (eredofamiliarità per disturbi mentali, anomalie cromosomiche, disturbi mentali disturbi della condotta o criminalità dei genitori);
  4. fisiologici (anomalie della reattività del sistema limbico, della corteccia prefrontale, dell’equilibrio dei neurotrasmettitori e degli ormoni sessuali), frequenti cambi di caregiver.

Il gruppo dei disturbi da comportamento dirompente comprende il disturbo oppositivo provocatorio e disturbo esplosivo intermittente.

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza (parte prima)

Fattori neurobiologici, psicogenetici e psicosociali dell’aggressività e della violenza

Parte prima

 

L’aggressività e la violenza secondo la filosofia, i naturalisti, la psichiatria, la psicanalisi, il comportamentismo e l’etologia

Per aggressività si intende l’inclinazione di un organismo vivente a sviluppare comportamenti offensivi nei confronti di altri organismi viventi, che possono raggiungere un’intensità tale da provocarne la morte. Si tratta di una caratteristica del mondo animale, di cui l’uomo fa indubbiamente parte, che spinge l’aggressore verso comportamenti orientati ad appropriarsi di un altro organismo vivente ai fini della propria nutrizione o ad affermare il potere di dominio e di difesa del proprio territorio o ad avere la supremazia all’epoca degli amori: l’aggressività può essere quindi predatoria, da difesa e da competizione sessuale.

Da Conrad Lorenz l’’aggressività è definita come la pulsione combattiva diretta contro i membri della stessa specie, tanto negli animali quanto nell’uomo.

Secondo il World report on violence and health (Geneve 2002), la violenza umana è sinonimo di prepotenza, angheria, brutalità, prevaricazione ed esprime l’uso intenzionale di forza fisica o di potere, minaccioso o reale, contro una persona o un gruppo di persone o una comunità, che comporta o ha una alta probabilità di comportare lesioni fisiche, morte, danno psicologico, e/o deprivazione.

La violenza può essere fisica o verbale, in quanto si può attuare con atti di aggressione fisica rivolti a provocare lesioni più o meno gravi o con modalità verbali e/ o gestuali, volte ad offendere, umiliare tratti caratteristici della personalità altrui, come il sentimento di libertà o il sentimento di autostima e di dignità.

Negli animali predatori, la violenza è regolata sia dall’apparato della vita di relazione, costituito da organi con cui l’animale si mette in contatto con l’ambiente esterno (organi sensitivo-sensoriali e del sistema nervoso centrale) sia dall’apparato osteo-artro-muscolare, preposto ai movimenti del corpo nello spazio e dei suoi segmenti tra di loro.

Nell’uomo, il cervello, l’organo preposto all’interpretazione degli stimoli e all’elaborazione della relativa risposta, essendo particolarmente sviluppato, risulta provvisto della proprietà di contenere l’aggressività ovvero di poterla tradurre in comportamenti violenti.

Prima ancora che i cultori della scienza della natura e dei fenomeni sociali studiassero scientificamente l’aggressività e la violenza, Hobbes e Rousseau furono i più autorevoli filosofi che hanno teorizzato il comportamento originario dell’uomo.

Secondo la teoria di Thomas Hobbes (1588-1679), esposta nel “Leviatano” (1651), il comportamento dell’uomo allo stato di natura è dominato dall’aggressività e dalla violenza.

Figura 1

La terapia diuretica dell’edema

I diuretici possono venire impiegati in svariate condizioni cliniche, tra le quali le più frequenti sono l’edema, gli squilibri idro-elettrolitici (ipo e ipernatremie, iperpotassiemie), gli squilibri acido-base (alcalosi respiratorie), le iper ed ipocalcemie, la paralisi periodica familiare.

In questo scritto ci occuperemo esclusivamente della terapia dell’edema.

 

DEFINIZIONE

L’edema consiste in un accumulo di liquido extracellulare in eccesso rispetto al valore normale, tale da determinare una imbibizione dei tessuti periferici riconoscibile clinicamente, ed un misurabile aumento del peso corporeo.

Malattie psicosomatiche e somatopsichiche nel soggetto anziano

Dalla mente al corpo e dal corpo alla mente

Il doppio binario della malattia e della salute

Introduzione

Che il cervello potesse in vario modo influenzare il corpo e/o ne fosse la spia per talune forme patologiche è nozione da sempre conosciuta e alcuni reperti rupestri mostrano il corpo umano sano o deformato da fiamme interne quasi a dimostrazione che paura, terrore o altro potessero consumare il corpo interiormente. In questa esposizione volutamente non faremo riferimento alla cultura orientale dove i rapporti tra mente e corpo sono molto più intimi di quanto non avvenga in occidente. La cultura occidentale, infatti, è stata fin dai suoi albori influenzata dalla filosofia della Grecia antica che considerava il corpo maschile l’emblema della perfezione e oggi ne abbiamo contezza ammirando i bronzi di Riace o le statue di Fidia.

Platone affermò che il corpo è sema, cioè segno, tomba dell’anima e questa condanna, ereditata poi dal Cristianesimo, influenzò a lungo la storia del pensiero occidentale. «Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell’anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente; e ancora, per il fatto che con esso l’anima semaínei (significa) ciò chesemaíne (intende esprimere), anche per questo è stato detto giustamente séma. Però mi sembra assai più probabile che questo nome lo abbiano posto i seguaci di Orfeo; come a dire che l’anima paghi la pena delle colpe che deve pagare, e perciò abbia intorno a sé, affinché sózetai (si conservi, si salvi, sia custodita), questa cintura corporea a immagine di una prigione; e così il corpo, come il nome stesso significa, è séma (custodia) dell’anima finché essa non abbia pagato compiutamente ciò che deve pagare. Né c’è bisogno mutar niente, neppure una lettera». Il filosofo greco considera pertanto l’anima come qualcosa d’incorporeo completamente separato dal corpo e rafforza il suo pensiero affermando che il corpo è un ostacolo e un peso per l’anima, rappresentandone una “tomba” o un “carcere”.

Invecchiamento precoce da progeria

Carlo Conti al Festival di Sanremo 2015 ha invitato sul palco Sammy Basso (figura 1), ragazzo di 19 anni affetto da progeria, cioè di una sindrome da invecchiamento precoce molto rara: in atto sono infatti noti circa 100 casi a livello mondiale. Ma già il 3 dicembre 2006 Maurizio Costanzo aveva intervistato Sammy Basso e i suoi genitori nel corso del “Costanzo show”. Nel 2014 la stampa internazionale ha dato ampia diffusione alla notizia della morte avvenuta a Boston all’età di 17 anni di Sam Berns, altro caso di progeria. Anche nel recente libro ” Il mercante di luce” di Roberto Vecchioni è affrontata, in un’ottica particolare, la tematica progeria: Marco, il protagonista, ha 17 anni ed è ammalato di progeria.

La legge 15 marzo 2010 n.38 e il dolore nell’anziano

“Quando il soggetto non è più in grado di comunicare, il dolore da sintomo (ri)diventa segno”

M. Trabucchi 2004

Nel trattare il dolore nella vecchiaia è importante premetterne una definizione, non fosse altro per rendersi conto di come poterlo poi affrontare in un soggetto anziano, che spesso non è più in grado di riferirlo. Di definizioni ne esistono molte. Ne abbiamo privilegiato due in quanto ci sembrano le più vicine all’argomento che vogliamo trattare.Il dolore in termini fisiopatologici secondo Merskey H., (Classification of chronic pain and definition of pain terms. Pain, 3: S1 – S 222, 1986) corrisponde ad una sensazione spiacevole e ad una esperienza emozionale ed affettiva associata a danno dei tessuti o descritto nei termini di tale danno. M. Tiengo nel 1976 definisce il dolore come un fenomeno complesso, un’evenienza eccezionale della nostra vita, che ci obbliga per esprimerlo a mobilitare risorse psichiche, neuronali, valenze culturali e relazionali.

Molte discussioni sono state fatte sulla tipologia, qualità e intensità del dolore in soggetti anziani, affetti o no da demenza. In particolare ci si è soffermati sulla capacità dell’anziano a saperlo “esprimere” correttamente quando è ancora mentalmente indenne, e sulla comprensione di recepire anche quanto e come e in che modo il soggetto con deficit cognitivi possa riferire e verbalizzare l’insulto nocicettivo.

Il dolore cronico nella storia

“Divinum opus sedare dolorem”, Ippocrate


Del dolore si hanno numerose definizioni, filosofiche, fisiologiche, internistiche, neurologiche, psicoanalitiche, ognuna delle quali predilige gli aspetti culturali dei proponenti, ma che, a ben guardare, hanno tutti un tragitto comune che conduce ad un crocicchio da cui si dipartono la sofferenza, il disagio, la frustrazione, il peggioramento della qualità di vita, l’impoverimento dei rapporti sociali e i disturbi comportamentali con una manifesta disabilità di chi ne è afflitto. La IASP (International Association for the Study of Pain) ha definito il dolore come un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata ad attuale o potenziale danno tessutale. Da tale definizione si trae la cognizione che il dolore non è soltanto un fatto fisiologico, ma ha anche un elevato valore sociale e esistenziale. Il dolore ha accompagnato l’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra e non per è un vezzo culturale narcisistico che vogliamo riportare come nei secoli è stato considerata questa sensazione psicosensoriale, in quanto pensiamo che l’evoluzione del pensiero umano sia sempre importante da essere studiato e valutato e porta con sé comunque sempre degli insegnamenti utili.

Creatività e invecchiamento di successo

Bruce Miller, neurologo della University of California, San Francisco, ha dimostrato non solo che l’invecchiamento cerebrale è ancora in grado di esprimere una capacità  creativa, ma anche che la creatività può essere un fattore favorente di un invecchiamento sano e di successo.

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