Cenni di prevenzione delle ulcere flebostatiche degli arti inferiori
Non si può arrivare a parlare delle ulcerazioni venose degli arti inferiori senza avere idea del continuum che è rappresentato dalla malattia venosa cronica (MVC). Siamo purtroppo abituati a considerare questa patologia come secondaria e soprattutto da affrontare solo quando visibile sia clinicamente sia sintomatologicamente. La realtà però è un’altra. Lo studio del Vein Consult Program, pubblicato nel 2012 e che raccoglieva i dati da un campione di oltre 10.000 pazienti dell’ovest Europa (7 paesi), ha dimostrato in maniera inequivocabile come nella nostra società 8 persone su 10 siano afflitte da un qualsivoglia stadio della MCV indipendentemente dal grado di gravità con cui si manifesta e dalla presenza di sintomi (22% malattia con segni senza sintomi, 42% di malattia con sintomi senza segni).
Ormai è assodato che la patologia venosa si sviluppa quando compare un aumento della pressione venosa ortostatica ed il ritorno ematico è ostacolato da incontinenza del circolo superficiale o profondo, delle perforanti, ostruzione venosa o associazione di una o più condizioni. Datano almeno al 2006 gli studi che dimostrano senza possibilità di equivoco come la relazione emodinamica – flogosi sia alla base della sintomatologia e scateni il danno d’organo che se non trattato adeguatamente, sconfina senza possibilità di arresto spontaneo negli stadi più gravi della malattia, quelli con danno cutaneo visibile. (2)
Studiando l’endotelio come organo appare evidente come la sintomatologia scatenata dalla flogosi sia riconducibile all’interazione endotelio-leucocita, la quale determinata da un flusso sanguigno rallentato da molteplici fattori (genetica, obesità, gravidanza, fattori ambientali…) produce un attrito del flusso laminare sull’endotelio esercita uno stimolo infiammatorio cronico sulla parete e sulle valvole venose che gioca un ruolo chiave nella genesi dell’ipertensione venosa e nella disfunzione valvolare da un lato l’innesco delle fibre nocicettive di tipo C genera dolore, dall’altro un rimodellamento delle pareti venosi e valvolari conduce a reflusso e insufficienza fino alla vera e propria ipertensione venosa cronica. (3)
La vena si difende dall’aumento pressorio tentando di spezzare la colonna idrostatica ripiegandosi su se stessa e generando una varicosità più o meno secondaria allo stimolo ipertensivo che può ancora compensare l’aumento pressorio. L’infiammazione nelle vene e nei capillari rilascia mediatori infiammatori (bradichinina, PGE2, NO…) che associato alla fuoriuscita di liquido interstiziale dalle fenestrature endoteliali a permeabilità ampliata attiva i nocicettori C presenti nei capillari e nelle valvole venose e imprime una compressione fisica sui nervi locali, scatenando la sintomatologia algica che diventa maggiormente evidente agli arti inferiori. La presenza di edema indica un punto si scompenso in cui l’ipertensione venosa manifesta tutta la sua gravità di patologia cronica, il cui destino finale lasciato al se stante è purtroppo infausto quoad functionem (ulcere invalidanti) o quoad vitam (complicanza tromboembolica, TVP; TEP, anche fatale).
La storia naturale della patologia è ben nota e tutte le linee guida nazionali e internazionali non ne possono prescindere nel classificare gli stadi di malattia e di trattamento consequenziali.
La classificazione universalmente accettata ancora oggi, pur nella sua incompletezza e per questo soppiantata da altre più specifiche come la V.C.S.S., e più maneggevole, resta ancora la C.E.A.P. la quale raggruppa in 4 elementi i punti salienti della Clinica, Eziologia, Anatomia patologica e fisiopatologia (Patofisiologia) venosa.
Anche le ultime linee guida internazionali (4) e nazionali (5) non ne prescindono, rendendolo strumento più che indispensabile nella gestione soprattutto clinica della malattia. Nessun paziente venoso dovrebbe terminare una visita flebologica senza un inquadramento almeno clinico della CEAP, vista la sua attendibilità come indice prognostico e di follow up, soprattutto nella comparazione con analoghi parametri precedenti.
Oltretutto la CEAP permette un linguaggio comune di approccio e trattamento che consente di stratificare la patologia in due tronconi ben distinti. Se la Malattia Venosa Cronica comprende l’intero spettro di segni e sintomi associati nelle classi da C0 (sintomi senza segni) a C6 (ulcere venose), il parlare di Disturbo Venoso distingue le classi iniziali della malattia (C0-C1-C2), mentre l’Insufficienza Venosa Cronica (IVC) distingue le classi più gravi (C3-C4a/b-C5-C6). La classe C2 (presenza di varici) in assenza di alterazioni cutanee non è indicativa di insufficienza venosa cronica poiché manca l’elemento principale della stessa, lo scompenso del microcircolo con conseguente edema. Le classi superiori invece, pur in assenza di malattia varicosa evidente, sono determinate da stadi sempre più gravi di insufficienza con perdita via via maggiore della competenza del microcircolo.
Ecco perché, nel quadro di una malattia ingravescente che spesso viene diagnosticata già in fase avanzata, tute le linee guida attuali insistono nel considerare la terapia sin dai primi stadi della malattia (ossia già nella classe C0) per ridurre l’evoluzione naturale della patologia. All’atto delle sua osservazione, 1 paziente su 5 affetto da MVC si presenta già in fase avanzata di malattia, ossia dallo stadio C3 in avanti.
Tutto ciò impatta fortemente nello stadio più eclatante della patologia, l’ulcerazione cutanea in fase attiva (stadio C6), tanto da aver generato una scienza a se stante per la sua gestione globale, la vulnologia. (6)
I dati della regione Piemonte e della letteratura italiana (Studio Ulcere Vascolari, totale pazienti censiti nel 2014: 1.125.000) non sono confortanti (7):
in Italia le ulcere colpiscono da 1 a 3 milioni di abitanti, con un tasso di recidive del 70% entro 2 anni; 20% risultano aperte a 2 anni; 8% risultano aperte a 5 anni; 45% durano oltre 10 anni, tanto che il 50% dei pazienti sono, si sentono e si comportano come invalidi.
Nel 80-90% delle ulcere difficili è presente una patologia vascolare: 75% patologia venosa (720.000 pari a 1,2% della popolazione), 10% patologia arteriosa, 15% patologia mista (artero-venosa-linfatica), 5% vasculiti e altre angiopatie.
Più prosaicamente la presenza di una patologia ulcerativa degli arti inferiori in famiglia costituisce il 14° posto tra le motivazioni di assenza dal lavoro, il 32° posto come causa di disabilità permanente; conta oltre 460.000 giornate lavorative / anno perse tra pazienti e famigliari e rende merito del 12,5% delle richieste di pre-pensionamento. Essa inoltre assorbe oltre l’11% dei pazienti ospedalizzati ultra 65enni e il 25% di quelli ricoverati in lungodegenze / case di riposo (quadruplicandone la mortalità).
Il costo della patologia vulnologia in Italia poi è elevato e tendente alla crescita annua continua: in generale poiché il 75% dei malati non si può permettere le cure, oltre il 60% delle spese vengono sostenute dalla famiglia. Il SSN piemontese è l’unico in Italia a rimborsare il costo totale delle medicazioni avanzate (parziale in Lazio e Sicilia), con una spesa per paziente di circa 30.000 Euro / mese.
Un’analisi condotta nei distretti territoriali della città di Torino nel 2007 (strumento informativo SICA, Wound care management, dell’Università di Modena) metteva in rilievo come a livello infermieristico il tempo delle cure domiciliari dedicato alla gestione dei pazienti fosse quasi interamente assorbito dal trattamento delle ulcere (91-98%, di cui 76-81% per quelle venose).
La patologia ulcerativa assorbe energie in quanto occorre ripristinare una condizione parafisiologica. Le ferite croniche non completano il normale processo di guarigione, tanto che potrebbero “arrestarsi” in una qualsiasi delle fasi di riparazione. Le cellule invecchiate all’interno delle ferite non rispondono a certi segnali, incluso alcune citochine e fattori di crescita per quella che si definisce “alterazione fenotipica”. La definizione di ulcera implica una lesione di continuo dell’integrità tissutale in assenza di segni di spontanea tendenza alla guarigione perdurante oltre sei settimane, dovuta a patologie sottostanti e/o ad arresto dei fenomeni cicatriziali.
L’aumento delle citochine pro-infiammatorie ed elevata attività delle proteasi e la contestuale diminuzione della sintesi della matrice e dell’attività dei fattori di crescita generano un ritardo di guarigione. l’ambiente della ferita cronica è sensibilmente differente da quello di una ferita acuta.
Qualsivoglia sia la genesi dell’ulcera (vascolare, infettiva, traumatica, neuropatica…) essa si sviluppa quando in ultima analisi si creano le condizioni di ingorgo venoso o insufficiente afflusso arterioso che determinano ipossia tissutale oltre la soglia di tolleranza cellulare.
Certamente fattori predisponenti (sedentarietà, obesità, alimentazione, fumo, igiene età, immobilità, malattie metaboliche, autoimmuni, infettive, degenerative) configurano quelli che sono fattori di rischio generali per gli arti inferiori e che vanno debitamente corretti e tenuti in considerazione.
Scopo degli accorgimenti terapeutici topici è ripristinare l’ambiente favorevole alla riparazione tissutale autonoma. Nessuna terapia agisce di per sé, ma solo in quanto ristabilisce un equilibrio e un percorso naturale di guarigione.
L’unico parametro che permette di valutare l’effettiva guarigione di una lesione è la verifica della riduzione dei suoi diametri (V. Falanga, 2001). Ratei iniziale di guarigione > 0,1 cm / settimana si correlano con la guarigione. Debridement e Wound Bed Preparation possono implicare non solamente la rimozione di tessuto necrotico e carica batterica ma anche della “carica cellulare” che interferisce con la riparazione normale dei tessuti.
La rivalutazione a massimo 4 settimane permette di controllare l’efficacia del percorso terapeutico. La rapida identificazione dei pazienti che non rispondono alle cure convenzionali consente interventi con terapie alternative.
Poiché l’ulcera è spesso espressione di un fenomeno sottostante, l’approccio terapeutico deve prevedere una visione generale del problema. Nello specifico la MVC vede come cardini terapeutici 4 approcci: farmacologico, compressivo, chirurgico e topico.
Scopo dell’approccio farmacologico è ridurre l’ipertensione venosa e la flogosi cronica conseguente, che sosterranno poi la stasi del microcircolo e l’ipossia stagnante successiva.
Primum movens della MVC in tutti i suoi stadi è la componente ipertensiva del circolo venoso.
Siamo abituati a trattare cronicamente l’ipertensione arteriosa, perché sottovalutare l’ipertensione venosa? Forse che le vene funzionano a cicli e le arterie no? Forse che il paziente utilizza le gambe solo in determinati periodi dell’anno o del mese? Il buon senso suggerisce le risposte.
Ben lo sanno le linee guida, le quali in maniera a volte provocatoria ma con fondamenta scientifiche e di letteratura sottolineano ampiamente come la terapia farmacologica debba essere considerata in tutti gli stadi della malattia. Essa “non deve essere considerata come alternativa ad altri trattamenti (chirurgici, endovascolari, compressivi), ma piuttosto intrapresa fin dai primi stadi della malattia, utilizzando sostanze di provata efficacia clinica che vadano ad agire sui diversi target d’azione responsabili delle alterazioni venose, dei sintomi e dell’evoluzione clinica della MVC: ridotto tono venoso; stasi del microcircolo; ridotto drenaggio linfatico; aumento della permeabilità capillare; infiammazione delle vene e delle valvole venose; depressione del reflusso venoarteriolare e del disturbo della vasomozione; cuffia di fibrina pericapillare.” (5)
Il trattamento farmacologico agisce in sinergia con i trattamenti compressivi e la chirurgia, non essendo a volte da solo in grado di dominare l’intero quadro sintomatologico.
Le linee guida attuali pongono particolare attenzione a attribuire alla compressione un ruolo via via di crescente importanza nella gestione della MVC e sono ormai concordi nel differenziare la compressione a seconda della classe di patologia espressa secondo la classificazione CEAP.
C.E.A.P. C0-C1: Le calze elastiche di sostegno (10-18 mmHg) o di 1a-2a classe AFNOR (10-20 mmHg) migliorano la sintomatologia soggettiva. — Grado B Ib
C.E.A.P. C2: La calza elastica terapeutica di 20-30 mmHg è raccomandata con grado di raccomandazione molto debole. L’esiguità di letteratura recente adeguata non consente di dare indicazione certa per i livelli di compressione alla caviglia, che dovrebbero comunque essere superiori a 18 mmHg. — Grado C Ib
C.E.A.P. C3: La terapia compressiva è raccomandata sia per la prevenzione che per la terapia dell’edema, anche se è disponibile un solo RCT su un numero congruo di pazienti. — Grado C Ib
Il bendaggio anelastico o ad allungamento corto è raccomandato nella terapia dell’edema in fase acuta (dopo attenta diagnosi differenziale). — Grado C IIa
C.E.A.P. C4: La terapia compressiva è raccomandata con calze elastiche terapeutiche di 30-40 mmHg alla caviglia nella CEAP C4b. — Grado C Ib Il bendaggio anelastico o ad allungamento corto è raccomandato nella CEAP C4b in fase acuta. — Grado C IV
C.E.A.P. C5: La compressione è raccomandata nella prevenzione della recidiva di ulcera venosa cicatrizzata (calze elastiche di almeno 30-40 mmHg alla caviglia). — Grado A Ia
C.E.A.P. C6: E’ raccomandato l’uso della terapia compressiva nel trattamento dell’ulcera venosa utilizzando un bendaggio inestensibile o ad allungamento corto, preferibilmente multicomponente. — Grado A Ia. La calza elastica terapeutica che eserciti una pressione di 30-40 mmHg alla caviglia e i sistemi di doppia calza elastica di cui una di compressione inferiore da indossare giorno e notte (15-20 mmHg alla caviglia) e l’altra da sovrapporre durante il giorno (20-30 mmHg alla caviglia) sono efficaci nella terapia della ulcera venosa. — Grado B Ia. (5)
Tuttavia la terapia compressiva trova il suo più ostacolo proprio nella tolleranza da parte dei pazienti. Uno studio del 2007 su oltre 3.000 pazienti anglosassoni evidenziava come il 63% del campione non utilizzasse per nulla la terapia compressiva prescritta, a fronte di averne ben compreso i rationali di utilizzo (8). Il Vein Book, ‘bibbia’ anglosassone angiologica, nel 2014 affermava con tristezza come “as compliance rates are similar in other countries, the inescapable conclusion is that compression therapy alone is ineffective in the majority of patients with C.V.D.” (9)
Tutto ciò fa dire alle linee guida SIF-SICVE 2016, alla pagina 31: “nei pazienti con ulcere venose, sulodexide e FFPM dovrebbero essere considerate in aggiunta alla terapia compressiva”.
(livello di evidenza A: grandi studi clinici randomizzati / meta-analisi + classe di raccomandazione IIa: almeno una ricerca randomizzata)
Da cui si deduce il rationale terapeutico di un paziente in classe CEAP C6: Flebotropi sistemici + Creme su cute perilesionale (emollienti, nutrienti, idratanti) + Compressione (su ulcera attiva bendaggio anelastico; gambaletto / calza di coscia / collant linee terapeutiche, da 18 mmHg a 32 mmHg) + Correzione patologie sistemiche associate + Terapia topica della lesione.
Questi pazienti però sono cronici, e anche se ritornano alla classe C5 non vanno abbandonati. Il destino per chi li affronta è quello di vedere aumentare in maniera continuativa il numero dei suoi pazienti, senza mai potersi permettere di perderne alcuni, né tanto meno di considerarli guariti in via defiinitiva.
Compito del medico di medicina generale è quello di continuare a seguirli per identificare precocemente ogni minimo segno di scompenso che possa far precipitare la situazione in maniera inattesa verso quadro catastrofici.
Viene pertanto consigliato nei pazienti in classe C5 (ulcera venosa pregressa): Flebotropi sine die + Compressione (gambaletto / coscia / collant almeno 21 mmHg) + Educazione e stile di vita (muoversi con calza/e) + Correzione comorbilità + EcoDoppler venoso AAII ambulatoriale annuale per i primi due anni, quindi secondo indicazione specialistica + Valutazione specialistica (con esame) + Follow up clinico semestrale per i primi due anni, quindi annuale.
Viene invece consigliato nei pazienti in classe C6 (ulcera venosa in fase attiva): Flebotropi ad alto dosaggio per tutto il tempo di trattamento + Compressione (bendaggio anelastico di gamba sull’arto lesionato; gambaletto / coscia / monocollant almeno 21 mmHg sull’arto controlaterale) + Educazione e stile di vita (muoversi con calza/e) + Correzione comorbilità + EcoDoppler venoso AAII ambulatoriale + Valutazione specialistica (con esame) + Follow up clinico mensile fino a guarigione della lesione quindi semestrale.
Quella che sembra oggi una prassi consolidata è stato possibile grazie al cambio di mentalità nell’approccio della gestione vulnologica iniziato in sordina già nel XIX secolo (Joseph Samson Gangee, 1876, The Lancet: cambi meno frequenti) e proseguito soprattutto dopo la seconda Guerra Mondiale (Bloom, 1945 The Lancet, Bull, 1948 The Lancet, Schilling, 1950 The Lancet, medicazioni semipermeabili).
Ma è solo negli anni ‘60 che inizia a farsi strada l’idea della guarigione in ambiente umido (10) che scardinerà le idee precedenti sulla gestione delle lesioni croniche fino ad arrivare agli inizi del 2000 con la Wound Bed Preparation (11) che assurge a scienza con l’ingresso nella vicenda degli studi del professor Falanga (12).
Dai suoi lavori e dal suo impegno nasce un algoritmo metodologico di valutazione e trattamento specificatamente adattato alle esigenze vulnologiche.
Così come dagli anni ‘60 l’introduzione del BLS prima e dell’ACLS e ATLS poi nella gestione delle emergenze rende fondamentale l’approccio per priorità (quella che la storia ricorda come la Nebraska Revolution), gestite dall’ormai stranoto acronimo ABCDE, nella vulnologia la lesione si giova di un approccio prima di tutto olistico al paziente, con un inquadramento diagnostico centripeto in cui la lesione diventa l’ultima delle parti da esaminare, quindi identifica le sua priorità di trattamento secondo l’acronimo TIME che ne scandisce la valutazione ed azione terapeutica strettamente conseguenziale.
Il cosiddetto “orologio della lesione” funziona sia in termini diagnostico-terapeutici sia in termini prognostici e vede alcuni capisaldi arricchitisi nel corso dei decenni di nuovi capitoli di lavoro:
T trattamento del tessuto; non più solamente il tessuto necrotico ma qualsiasi tipo di tessuto presente (es. slough, granulazione, epitelizzazione) deve essere appropriatamente valutato e gestito. Tessuto attivo / non attivo / iperattivo e centralità dell’atto del debridement.
I controllo della flogosi / infezione; il processo fisiologico della riparazione passa attraverso la fase infiammatoria ma il rischio infettivo, in considerazione delle diverse fasi tessutali, appare sempre molto rilevante. Concetto di recidiva settica, biofilm, distinguendo nettamente tra cura e prevenzione dell’infezione.
M bilancio dei liquidi; trasudato e essudato da controllare sia in fase gestionale – eccesso o secchezza – sia in fase di terapia curando la malattia di base per ridurne la produzione. Introduzione della N.P.W.T.
E proliferazione e migrazione epiteliale dai bordi; riparazione differenziata nei vari strati di profondità. Margine, bordo e cute perilesionale e funzione barriera con le relative manifestazioni cliniche.
D Viene inoltre posta sempre maggiore attenzione al dolore inteso sia come reazione a atti terapeutici o al cambio medicazione, ma soprattutto in un’accezione più ampia e completa.
C La cute perilesionale come specchio della reattività e vitalità locale alla lesione che merita attenzioni e trattamenti dedicati, a seconda che si presenti integra, disidratata, macerata, eczematosa, eritematosa, cicatriziale (atrofica / discromica).
Tutto questo non poteva non attirare l’interesse della industria del farmaco, che nella sua accezione di industria dei presidi di medicazione ha visto incrementare i suoi sforzi e i suoi investimenti in maniera esponenziale. La rimborsabilità su piano terapeutico (almeno in Piemonte) delle medicazioni avanzate poi ha gonfiato un mercato già intasato di proposte. La mancanza di una regolamentazione nazionale e regionale e la proliferazione di figure e centri più o meno accreditati di trattamento ha fatto poi esplodere la situazione.
Una semplice considerazione può chiarire la dimensione del problema. La maggior parte delle ulcere venose guariscono con bendaggi a forte compressione e medicazioni semplici non adesive.
Quindi le medicazioni e le terapie avanzate servono davvero?
Indubbiamente la risposta è positiva, ma proprio la complessità del quadro deve far riflettere sulla corretta gestione del paziente nella sua totalità prima e nella sua peculiarità poi. Limitarsi ad applicare un prodotto che non si conosce bene, seppur validissimo, su un terreno che si conosce ancora meno e che non si ha la pretesa di voler studiare, porta inequivocabilmente a un fallimento. La offerta di prodotti è ormai tale che la selezione deve essere effettuata in base a criteri oggettivi e metodologici precisi e validati. In linea di principio occorre scegliere la medicazione più semplice, più adatta e con la necessità di cambio meno frequente alla situazione contingente. Quello che le amministrazioni spesso non comprendono è il concetto di costo terapia: medicazione meno costosa non è sinonimo di medicazione che costa meno, in termini di tempo, impegno, materiale e prognosi. Ossia in termini di criteri clinici e di qualità percepita dal paziente. Non è questa la sede per sviluppare tali argomenti che meritano intere giornate di riflessioni dedicate. Se districarsi tra le medicazioni standard è già oggi difficile (vedi dopo) cosa dire delle medicazioni avanzate e delle tecnologie ad esse correlate?
Principali gruppi di medicazioni standard: Detergenti; Antisettici; Garza semplice (TNT e cotone); Medicazioni di contatto; A cessione di ossigeno; A base di miele.
Principali gruppi di medicazioni avanzate: Debriders; Film semipermeabili; Idrocolloidi; Idrogel / Idroalginati; Schiume di poliuretano; Alginati; Idrofibra; Antisettiche (con Ag o cadexomeri); Polimeri; Interattive.
Alcune altre tecnologie applicate: N.P.W.T.; radiofrequenze; sistemi a rilascio di ossigeno; medicina rigenerativa; innesti; microinnesti; bioingegneria; fotodinamica; magnetoterapia e Bemerterapia.
Certo ciascuno è alla ricerca della medicazione avanzata perfetta, quella che gestisca ogni tipo di essudato o materiale necrotico, mantenga una temperatura costante, sia permeabile all’O2, protegga dalle infezioni esogene, sia maneggevole e conformabile, atraumatica alla applicazione e rimozione, stimoli i processi di riparazione tissutale, sia sinergica a eventuali medicazioni primarie / secondarie aggiuntive. Purtroppo le industrie sono convinte di poter rispondere a queste specifiche in maniera sempre più tassativa e assoluta e purtroppo qualche clinico, in buona fede, ci crede.
Il vero purtroppo però, è che in un mondo che vive di letteratura e di EBM non si ascolta mai abbastanza il buon senso:“Non mettete mai nella ferita quello che non vorreste fosse messo nel vostro occhio” (G.. Rodeheaver, Clinica oftalmologica – University of Virginia).
Per concludere, avendo ben compreso come la Malattia Venosa Cronica sia una malattia ingravescente a diagnosi clinica, come la classe CEAP C6 sia una condizione prevenibile e poi da rivalutare periodicamente, nonché da trattare con attenzione e dedizione, ecco le principali raccomandazioni SICVE – SIF 2016 (5) per ulcera venosa.
– In tutti i pazienti portatori di ulcere venose dell’arto inferiore è indicato un inquadramento nell’ambito della classificazione delle malattie venose, includendovi la classe CEAP… mediante una valutazione clinica… è indicata l’identificazione di fattori condizionanti la guarigione dell’ulcera… (Raccomandazione 12.2.5 Best Practice / 12.2.6 B. P. / 12.2.7 B. P.)
– In tutti i pazienti con ulcera venosa è indicato l’esame dei polsi arteriosi e la misurazione dell’indice caviglia-braccio… e una completa valutazione eco-Doppler degli arti inferiori… (Raccomandazione 12.2.8 grado 1B / 12.2.10 grado 1B)
– Nel paziente con ulcera venosa non è indicato l’esame colturale di routine dell’ulcera venosa, che è indicato invece in presenza di infezione clinicamente evidente. (Raccomandazione 12.2.13 grado 2C) È indicata la biopsia dell’ulcera venosa, quando non migliora nonostante 4-6 settimane di terapia standard locale e compressiva, e inoltre in tutti i casi di ulcera atipica. (Raccomandazione 12.2.14 grado 1C) È indicata l’esecuzione di test per trombofilia nel paziente con storia di ripetute trombosi venose e ulcere venose recidivanti. (Raccomandazione 12.2.15 grado 2C)
– Per la Prevenzione Primaria nelle Classi CEAP C3-C4 di malattia venosa primitiva, conseguente ad un reflusso valvolare primitivo, si raccomanda la compressione, fino al ginocchio od alla coscia, con pressione 20-30 mmHg alla caviglia. (Raccomandazione 12.2.16 grado 2C)
– Per la Prevenzione Primaria nelle Classi CEAP C1-C4 dopo trombosi venosa, si raccomanda la compressione fino al ginocchio od alla coscia con pressione 30-40 mmHg alla caviglia. (Raccomandazione 12.2.17 grado 1B)
– Nel paziente con ulcera venosa è raccomandata la terapia compressiva… per diminuire il tasso di recidiva di ulcera… indicato l’uso di bende compressive multistrato versus bende a strato singolo. (Raccomandazione 12.2.23 grado 1A / 12.2.24 grado 2B / 12.2.25 grado 2B)
– È indicata la pulizia dell’ulcera venosa, all’inizio della terapia ed ad ogni cambio della medicazione… con il minor trauma chimico o meccanico possibile. È indicato inoltre l’uso di medicazione locale in grado di assorbire l’eccesso di essudato e proteggere la cute perilesionale mantenendo un ambiente umido. (Raccomandazione 12.2.27 grado 2C)
– Nel trattamento dell’ulcera venosa, si raccomanda un attento e scrupoloso debridement al momento della prima valutazione, asportando tessuto chiaramente necrotico, materiale infetto od eventuali accumuli di cellule morte o senescenti. (Grado 1B). È indicata inoltre l’esecuzione di ulteriori manovre di debridement più appropriato, autolitico, meccanico, enzimatico, biologico, oppure chirurgico mediante strumenti taglienti, così da ottenere e mantenere un letto della ferita pulito ed adatto alla guarigione. (Raccomandazione 12.2.28 grado 2B)
– In caso di ulcera venosa si raccomanda l’uso per via sistemica di antibiotici mirati contro microrganismi gram-positivi nel trattamento della cellulite perilesionale (infiammazione ed infezione della cute e del sottocute intorno all’ulcera). (Raccomandazione 12.2.35 grado 1B)
– Non è indicata, in assenza di segni clinici di infezione, una terapia sistemica antimicrobica nella cura dell’ulcera venosa con segni di colonizzazione o presenza di biofilm. È indicata invece in associazione a un debridement meccanico una terapia antimicrobica in presenza di segni clinici di infezione e riscontro >100.000 CFU/g tessuto analizzato o nell’ulcera venosa criticamente colonizzata da batteri di difficile eradicazione (ad esempio streptococchi beta-emolitici, Pseudomonas oppure Stafilococci resistenti) anche in presenza di minori livelli di CFU. (Raccomandazione 12.2.36 grado 2C)
– Nell’ulcera venosa attiva (C6) o guarita (C5) ed in presenza di vene superficiali incontinenti con reflusso assiale diretto verso il letto dell’ulcera, è indicata, in aggiunta alla terapia compressiva abituale, l’ablazione di dette vene per ottenere la guarigione dell’ulcera… in presenza di rami perforanti patologici situati al di sotto oppure in corrispondenza dell’ulcera, si suggerisce, in aggiunta alla terapia compressiva abituale, l’ablazione dei perforanti patologici per favorire la guarigione dell’ulcera oppure prevenirne la recidiva. (Raccomandazione 12.2.39 grado 2C/ 12.2.40 grado 1B / 12.2.41 grado 2C)
Ricordando ciò che ci disse Marcel Proust: “Sembra che la natura sia in grado di darci solo malattie piuttosto brevi; la medicina ha inventato l’arte di prolungarle”.
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Alberto Musso
Dirigente Medico presso il reparto di
Chirurgia Generale dell’Ospedale Martini