Commento alla discussione del 20 maggio 2022, sessione Aria, Ambiente e Benessere al XIII Congresso Nazionale Multidisciplinare ACSA
Lo scorso 20 maggio, ho partecipato alla sessione pomeridiana Aria, Ambiente e Benessere presieduta dal presidente Tommaso Diego Voci nell’ambito del convegno scientifico e medico di ACSA tenutosi a Torino. La mia memoria dal titolo “La protezione degli ambienti chiusi dalla trasmissione aerea di agenti patogeni respiratori” aveva come finalità principale quella di aprire una comunicazione tra il mondo medico e quello ingegneristico, troppo spesso entrambi chiusi nelle rispettive aree di pertinenza scientifica. Ringrazio quindi il presidente per questa illuminante iniziativa augurando che ci possano essere ulteriori occasioni di dialogo, ancora più formative rispetto alla mera contrapposizione ideologica e dogmatica che si è manifestata durante la discussione. Questa contrapposizione ha impedito un chiarimento dettagliato che mi propongo di sviluppare in questa sede.
Il dr. Fabio Beatrice ha iniziato la discussione con la seguente domanda:
FB: Io non mi trovavo del tutto sul ragionamento un po’ forte che ha fatto l’ingegnere (sarei io), è vero che il COVID si trasmette anche per via aerea ma non è che il virus espirato galleggia nell’aria a tempo indeterminato, non è vero che il distanziamento non è efficace, perché è dimostrato che la distanza di proiezione delle goccioline di Flugge in funzione del loro peso, poiché siamo sul pianeta Terra e non su una astronave, le goccioline ricadono diciamo alla fine per la forza di gravità, il distanziamento è una misura estremamente significativa ed importante.
GB: La premessa è che a inizio pandemia la comunità medica (OMS e i vari CDC nel mondo) ha associato la trasmissione del SARS-CoV-2 alla sole goccioline grandi, di dimensioni tali (per l’OMS superiori a 5 mm, altro errore clamoroso ma ci ritorneremo) da avere traiettorie balistiche, ovvero tali da NON essere influenzate dall’ambiente circostante. Le uniche misure di protezione adottate sono state il lavaggio delle mani (per un virus respiratorio!) ed il distanziamento. Un gruppo di esperti (multidisciplinare, costituito da ingegneri, studiosi di aerosol, ma anche virologi) si è però riunito all’inizio della pandemia, allertando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dell’importanza della trasmissione per via aerea di SARS-CoV-2 e dell’urgente necessità di controllo. Siamo stati a lungo ignorati in una lotta che è stata descritta come un “dibattito scientifico” che porta alla mancanza di accordo tra gli esperti. Non è così, poiché c’è un’incredibile unità di opinioni tra la stragrande maggioranza degli esperti pertinenti in una vasta gamma di discipline. Tuttavia, le nostre opinioni non sono state accettate e il rifiuto di questa verità da parte dell’OMS ha creato una falsa impressione di “dibattito”.
Venendo in maniera specifica alla domanda, FB afferma che “è vero che il COVID si trasmette anche per via aerea” ma allo stesso tempo “non è che il virus espirato galleggia nell’aria a tempo indeterminato”. È evidente una contraddizione: se si accetta la trasmissione aerea di un agente patogeno allora NECESSARIAMENTE il virus galleggerà in aria. La trasmissione aerea non riguarda i cosiddetti droplets che infatti non vengono inalati, ma che si depositano sulle mucose. Il distanziamento è una misura protettiva efficace nel cosiddetto close proximity ma nei confronti della stessa trasmissione aerea. Infatti, come riportato in Cortellessa et al., 2021 https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2021.148749: “… the airborne droplets represent the dominant contribution to the infection risk received also for distances well lower than 0.6 m. This is a key finding of the paper, indeed, it clearly highlights that performing infectious risk assessments just based on the fluid dynamics of droplets could be extremely mis- leading as they predict an erroneous dominant contribution of the large droplets for distances <0.6 m; on the contrary, the proposed integrated approach able to take into account for the viral load carried by the droplets, the droplet evaporation, the different pathogen concentrations as a function of the droplet diameter, and the different effectiveness of the transmission routes, clearly demonstrates the dominant role, in terms of risk of infection, of the airborne droplets also at short distances”. Questa dinamica è stata confermata anche, ad esempio, in Chen et al., 2020 https://doi.org/10.1016/j.buildenv.2020.106859. Il dr. Beatrice sembra quindi ripetere il mantra dei “droplets che infettano” perché, essendo particelle di dimensioni maggiori, “trasportano” più virus (in realtà è esattamente il contrario in termini di concentrazione, Fennelly KP. Particle sizes of infectious aerosols: implications for infection control. Lancet Respir Med 2020; 8: 914–24), cercando un appiglio sulle goccioline di Flugge. Anche nel caso di Flugge però l’interpretazione del dr. Beatrice è lontana dalla realtà: “However, although the term “Flügge’s droplets” has been used to describe only those large particles that fell to the ground quickly near the infected person and that were assumed to dominate transmission, that does not accurately capture Flügge’s results. Rather, Flügge and collaborators used the term “droplet” to refer to fresh particles of all sizes, including aerosols for which the researchers waited 5 hours to settle from the air on their collection plates” (https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3904176). In sintesi più che una domanda è stato un tentativo di difesa ad oltranza di un dogma ottocentesco in un approccio ben lontano da una discussione scientifica.
Nel tentativo di rispondere alla domanda, mentre affermavo che “chi studia l’aerosol, non un medico, chi studia le goccioline, sa che quelle goccioline cadono a 50 cm nel parlare, l’attività più rischiosa per la pandemia”, e venivo interrotto polemicamente dal dr. Beatrice, ho posto allo stesso interlocutore la domanda: “Ma è stato verificato il contagio per droplets?”. Risposta del dr. Beatrice: “Si, ci sono una serie di studi”. Ribadisco come affermato nella discussione che non esistono studi a riguardo. Aspetto ancora da dr. Beatrice indicazione di questi studi.
Il dr. Beatrice ha contestato anche le mie critiche nei confronti delle autorità sanitarie e comunità medica in generale con riferimento alla comunicazione. Mentre rispondevo “Quando sento parlare un medico in quel modo di aspetti (la trasmissione aerea) che non conosce, dando informazioni alle persone … per me è inaccettabile”, arriva una nuova contestazione del dr. Beatrice: “Lei sta dando informazioni che non sono corrette. Lei non è un medico, non ha nessuna competenza per parlare di queste cose”. Non entro nel merito di questa opinione, ma è evidente che per il dr. Beatrice i medici (come lui) dovrebbero occuparsi di trasmissione aerea. Medici convinti che particelle di 5 mm cadono al suolo (mentre il PM10 di dimensioni di 10 mm galleggia), medici che non conoscono gli effetti dell’evaporazione, delle velocità di sedimentazione, dei flussi multifase tipici delle esalazioni umane durante una qualsiasi attività respiratoria. In sintesi, medici allineati dogmaticamente ad un concetto dell’800, incapaci di comprendere la rivoluzione già in atto. Medici che suggeriscono la FFP2 al posto della mascherina chirurgica senza saper spiegare perché ci protegga di più, o che suggeriscono (timidamente) la ventilazione per un meccanismo (quello dei droplets) che NON dipende dalla ventilazione stessa. Un festival dell’assurdo, che rimarrebbe nell’ambito della comicità se non avesse così pesantemente influito sul numero di casi, sull’impatto economico e sul numero di morti. Purtroppo, questi stessi medici non solo negano le competenze di altri settori della scienza, ma addirittura ritengono di averne, senza conoscere le nozioni basilari della fluidodinamica. Il dr. Beatrice ha presentato una memoria dal titolo “La questione del fumo di seconda e di terza mano:
la sigaretta e i nuovi prodotti”. Difficile entrare nel merito di una presentazione senza riferimenti bibliografici, di un relatore che non ha alcuna competenza di aerosol, che non ha alcun lavoro scientifico su questo tema.
Tornando alla discussione, quando (consapevole di quello che è stato il processo di cambiamento all’interno delle autorità sanitarie) ho affermato che la comunicazione sulle misure di protezione dei CDC si era basata solo sui droplets, che “il CDC americano ha fatto uscire l’aerosol, l’ha poi nascosto e poi l’ha fatto riuscire nuovamente”. Il dr. Beatrice mi ha interrotto affermando “quello che lei dice è privo e destituito di ogni fondamento”. Per amore di verità allego conferma delle mie affermazioni (https://www.bmj.com/content/370/bmj.m3739), dimostrando quanto sia invece falsa e pretestuosa la posizione del dr. Beatrice.
Ho molto apprezzato l’intervento del prof. Gaddi, portatore di interesse dell’area sana della medicina sul tema della trasmissione aerea. Quando stavo per illustrare le misure di concentrazione di carica virale di SARS-CoV-2 in aria condotte in un mio lavoro scientifico pubblicato in collaborazione con ARPA Piemonte, ecco l’ultima provocazione (non so come altro chiamarla) del dr. Beatrice: “Qui ho la posizione ufficiale di ARPA Piemonte (?!?), … la verità non è come la dice lei, … parlo di una posizione ufficiale di ARPA Piemonte che ho qui, gliela leggo, la leggo in diretta, perché qua su Internet è in tempo reale, ma non vorrei entrare, guardi la chiudo qua…”. Da capire cosa c’entri una posizione ufficiale (?!?) con i risultati di un lavoro scientifico. Anche qui aspetto (forse senza speranza) chiarimenti.
Perché ho scritto questa nota?
Ritengo che dobbiamo quantificare le conseguenze dell’errore commesso sulla trasmissione aerea, non solo per fornire un resoconto del passato, ma anche per aiutare a stabilire la giusta rotta per il controllo delle infezioni respiratorie in futuro. Questa conoscenza fornirebbe le giuste motivazioni per utilizzare le tecnologie e le conoscenze esistenti al fine di ridurre al minimo la futura perdita di vite umane a causa della trasmissione di infezioni per via aerea e la morbilità, i costi economici e altri impatti. Ma soprattutto per far capire che individui o piccoli gruppi in posizioni di potere, privi di esperienza o con un’agenda specifica, possono ancora oggi ignorare la scienza.
È una situazione tragica per la nostra società che le evidenze scientifiche non siano necessariamente adottate immediatamente nel processo decisionale in materia di salute pubblica (esiste il principio di precauzione) e non vi sia alcuna responsabilità per le conseguenze delle decisioni basate sull’ignoranza della scienza. Il problema è, ovviamente, molto più ampio, con la scienza messa da parte in relazione a molte altre decisioni critiche per il benessere o addirittura l’esistenza della nostra società.
Credo che come società possiamo fare molto meglio.