Creatività e invecchiamento di successo
Bruce Miller, neurologo della University of California, San Francisco, ha dimostrato non solo che l’invecchiamento cerebrale è ancora in grado di esprimere una capacità creativa, ma anche che la creatività può essere un fattore favorente di un invecchiamento sano e di successo.
“We hold these truths to be self-evident, that all men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness”
da The Declaration of Independence
Bruce Miller, neurologo della University of California, San Francisco, ha dimostrato non solo che l’invecchiamento cerebrale è ancora in grado di esprimere una capacità creativa, ma anche che la creatività può essere un fattore favorente di un invecchiamento sano e di successo.
Hillman in “La forza del carattere”, scrive “le idee che abbiamo sulla vecchiaia hanno bisogno di essere sostituite”. Troppi sono infatti i pregiudizi sulla vecchiaia in generale e sulla capacità di poter essere creativi anche nell’età più estrema, in particolare. Una cultura dominante, fatta di luoghi comuni acritici e di pregiudizi e stereotipi, che alterano la realtà, crea anziani anomali, appiattiti in una omogeneità che non sa e non vuole vedere la differente variabilità interindividuale, secondaria alla specificità esistenziale di ognuno di loro. Non esiste l’anziano ”cristallizzato” e stilizzato in una figura astratta ma, per contro, ci sono “gli anziani”, così diversi tra di loro, ognuno con la sua storia, la sua unicità in ogni campo delle attività sociali e umane.
A tutt’oggi è ancora molto influente la scuola di pensiero che giudica l’anziano aplastico, incapace o poco capace a “inventare qualcosa di nuovo”, imbelle e impacciato a cambiare le procedure in corso d’opera, presuntuosamente ancorato a un passato e a una tradizione antica (querulus laudator temporis acti).
È altrettanto importante un’altra corrente di pensiero che relega la fantasia dell’anziano all’ambito dell’inconscio, che emergerebbe come attività onirica o come sogno a occhi aperti, creazione quasi di un neverland crogiolante di soddisfazioni che il mondo reale non sa e non può più dargli. Gianni Vattimo scrive che è importante avere “l’idea di una liberazione delle interpretazioni e non di una liberazione dalle interpretazioni”.
Non bisogna avere paura d’invecchiare, subliminando o demonizzando l’anagrafe. Per contro, per avere un invecchiamento di successo e sereno, è opportuno vivere realisticamente gli ultimi anni della propria esistenza, accettandoli come una delle fasi della vita, anche se con problemi sociali ed esistenziali specifici e diversi da quelli di altri periodi dell’esistenza umana, in quanto più precari, perché ristretti sono i tempi a disposizione, scarse le possibilità di rapporti sociali e intergenerazionali nuovi e durevoli. La vecchiaia creativa può essere ancora un periodo fecondo, dove l’anziano può rinnovarsi e migliorare la qualità di vita. La creatività, parimenti alla fede, all’amore, alla capacità di essere resilienti, è indubbiamente associata a un invecchiamento di successo. Gli studi recenti di psico-geriatria e di psicologia cognitiva hanno ampiamente dimostrato che la creatività non è solo una prerogativa dell’infanzia o degli artisti, ma può manifestarsi in soggetti di ogni età, quindi anche nei vecchi, anche se in possesso di un modesto bagaglio culturale.
Numerose osservazioni, con scarsa rilevanza scientifica, avevano sottolineato come la compromissione cognitiva età-dipendente fosse un evento inevitabile e si associasse a una incapacità del soggetto anziano a esprimere “qualcosa di nuovo”. Tali osservazioni hanno perso la loro validità e gli studi attuali di neuroscienze e di psicologia cognitiva hanno dimostrato con chiarezza, da una parte, la riduzione progressiva dell’azione manuale, ma dall’altra si è visto che l’anziano anche senza muoversi o stando seduto può smuovere spazi e pesi senza alzare un dito, in una situazione di “ozio creativo”. Infatti, alla riduzione della forza muscolare età correlata e della funzionalità dei vari organi e apparati, si ha un’intensificazione vicariante dell’”occhio fantastico” di Yeats.
James Hillman in “la forza del carattere”, sottolinea che “per riconoscere la possibilità di un’estetica raffinata nella vecchiaia, dobbiamo scoprire idee più raffinate sul gusto e sui sensi in relazione all’anima”. Stemberg, ha dimostrato che mediante l’insight (illuminazione), l’uomo creativo utilizza anche intuitivamente le proprie abilità creative per trovare una soluzione originale del problema (problem–solving) o per analizzare processi complessi (problem–making) e ritiene che la creatività sia composta di tre momenti diversi, autonomi ma correlati fra loro:
- la codificazione selettiva: capace di eliminare le informazioni meno rilevanti e inutili;
- la combinazione selettiva: in grado di collegare le diverse informazioni;
- il confronto selettivo: la capacità di spiegare le informazioni appena apprese con quelle già note e risolvere, per analogia, il problema.
Le neuroscienze distinguono la creatività artistica (la fantasia) prodotta dall’emisfero destro, dalla creatività scientifica (concretezza), appannaggio dell’emisfero sinistro, anche se le correlazioni cerebrali tra i due emisferi sono costanti, embricandole in varia misura. La creatività, infatti, si realizza in modo molto complesso, attraverso un continuo scambio tra le attività proprie dell’emisfero sinistro (capacità logiche) e quelle tipiche dell’emisfero destro (fantasia e capacità di astrazione).
Henry Poincaré nel XIX secolo affermò che la creatività è la capacità di unire, associare, collegare elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili. Essere creativo significa, quindi, rompere le regole esistenti per crearne delle altre migliori.
La creatività è definita da vocabolario Garzanti come “capacità di creare, di inventare con libera fantasia”. Altri, riassumendo le definizioni e gli studi delle diverse scuole di pensiero, in estrema sintesi, affermano che la creatività è una particolare abilità, posseduta da ogni individuo, che consente di produrre qualcosa di nuovo.
Fra l’altro, è necessario rilevare come la creatività sia una capacità produttiva della ragione e della fantasia e non può essere confinata esclusivamente alla realizzazione di un’opera d’arte, come frequentemente ritiene l’immaginario collettivo, ma essa coinvolge e interessa anche la produttività scientifica e tutti i campi dell’operatività umana, da quella puramente manuale a quella speculativa-logica cerebrale e sperimentale.
In ultima analisi, la creatività, presente in tutti, sarebbe un tesoro nascosto, un muscolo da attivare secondo il metodo creativogenico di Arieti, secondo il quale la cultura creativogenica e la persona potenzialmente creativa sono i due elementi utili e indispensabili per attivare la creatività.
Se questa capacità di produrre qualcosa di nuovo è sufficientemente comprensibile e dimostrabile nei giovani, essa è stata poco studiata e valutata nella terza età, ritenuta volutamente scarsamente trasferibile nella vita dell’anziano per pregiudizio o per mera trascuratezza.
Nel 1964 l’allora Presidente degli USA Lyndon Johnson affermò che gli obiettivi che voleva perseguire e raggiungere non potevano essere valutati in termini bancari ma solo in termini di qualità di vita. Sono trascorsi circa trenta anni da quella data. La letteratura specifica, in questo periodo, si è arricchita di numerosi scritti sulla qualità di vita, che restano però relegati più al campo teorico che a quello pratico operativo, in quanto gli Stati, gli Assessorati alla Sanità e all’Assistenza, le Regioni, le Direzioni sanitarie e amministrative ospedaliere continuano a ragionare sempre in termini di economia bancaria, svilendo e immiserendo le opportunità necessarie per dare all’esistenza di un terzo della popolazione uno straccio di dignità umana.
Pensiamo che oggi, in questa società post industriale, l’anziano per non soccombere e per non essere trasportato in una deriva senza storia e senza significati, debba essere anzitutto resiliente e attore a tutto tondo partecipativo della sua esistenza ed elemento attivo del capitale sociale. Egli deve trovare in se stesso la forza per non regredire e deve, inoltre, conservare una capacità creativa e mantenere un patrimonio di fantasia specifica dell’età e del suo vissuto. Il nostro scopo è di penetrare in quest’astruso e buio labirinto, fornendo o cercando di fornire, senza alcuna arroganza, supponenza o presunzione, un sottile filo di Arianna che dia contezza alla nostra ricerca e ci conduca all’aperto, quasi una riproposizione del mito della caverna, in modo da poter vedere quanto di reale e veritiero ci sia su tale argomento e in particolare comprendere se possa essere veritiero l’osservazione fatta da alcuni ricercatori sulla correlazione positiva “creatività-benessere”
Condividiamo il pensiero di Marcello Cesa Bianchi che ritiene la creatività una proprietà riscontrabile, in varia misura, in tutti gli individui. Proprio perché ognuno può essere creativo a ogni età e in ogni momento, possiamo affermare, senza essere smentiti, che la creatività non si esaurisce e non si affossa nemmeno quando l’intelligenza diventa un fantasma, un’ombra che svanisce in un mondo di nulla, una voce che non esprime coerenza, una mente che vacilla in un mondo senza ricordi. Concordiamo con Minois, quando afferma “l’età permette spesso di elevarsi al di sopra delle convenzioni di ogni specie a cui l’adulto deve sottomettersi per fare carriera; libero da queste costrizioni il vecchio può espandere la propria creatività, il che permette a taluni di rilevare il proprio genio a 70 o 80 anni” [1].
L’anziano può essere, lui povero di futuro, capace di anticipare ancora l’avvenire, in quanto non è l’età anagrafica o quella biologica che possono impedirgli di essere ancora e comunque un “creatore di futuro”. Gli rimarranno sempre delle potenzialità che attendono solo di essere attivate e per fare scoccare in sé la fiammella o il fuoco della creatività deve solo recuperare la sua fanciullezza e la spontanea capacità di voler giocare.
L’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS) ha definito l’invecchiamento attivo (active ageing) come un processo, applicabile sia a livello individuale, sia collettivo, finalizzato alla massima realizzazione delle potenzialità fisiche, mentali, sociali ed economiche degli anziani [2]. L’invecchiamento attivo è, in ultima analisi, quella fase della vita, quando l’anziano è capace di riempire il tempo liberato dalle attività lavorative della fase adulta con impegni nuovi, soddisfacenti e, in particolare, partecipativi nella società, a livello sociale e culturale. Impegni che favorisco e stimolano un invecchiamento creativo (creative ageing), che, se ben gestito, può risultare non un fardello o un problema, ma un’effettiva opportunità di valide risorse per la società. La creatività per potersi e sapersi esprimere si deve nutrire di un pabulum culturale, che nasce da una consapevolezza che solo l’apprendimento continuo, in ogni campo, dalla letteratura, alla scienza, all’arte, alle attività artigianali e manuali, rende l’uomo libero e vittorioso. L’apprendimento, d’altronde, è il desiderio di non sterilizzare le proprie competenze, che devono rimanere vive per tutto l’arco della vita.
Solone diceva “invecchio, imparando ancora qualcosa di nuovo” e Seneca nelle lettere a Lucilio scrive “etiam seni esse discendum”.
Nel trattare i fattori creativogenici e la creatività nel soggetto anziano bisogna liberarsi di alcuni luoghi comuni che risultano limitativi e non concretamente realistici. È frequente osservare come la pubblicistica su tale argomento evidenzia solo i geni, come gli unici soggetti creativi. Forse, non sempre si tende a differenziare la “creatività invecchiata” dal “vecchio creativo”.
La creatività invecchiata è quella dei geni che invecchiano (Monteverdi, Cherubini, Rossini, Liszt, Verdi), che anche in tarda età hanno prodotto opere di notevole pregio e spessore. Viene, quindi, enfatizzata di solito la Creatività con la “C” maiuscola, quella dei Geni, dei grandi artisti e scienziati, mentre secondo Goleman 1999 e Gardner 2007 esiste anche la creatività con la “c” minuscola, vale a dire la creatività quotidiana, di solito individuale, spesso senza pubblico, lontana dai media e dalla pubblicità, chiusa nell’ambito della cucina o di piccoli laboratori e che non fa spettacolo. Questo nostro scritto polarizzerà l’attenzione proprio sulla creatività “del quotidiano”, quella comune ai semplici mortali e, in particolare, sulla “creatività del vecchio”, poco valutata e quasi mortificata. Questa creatività che si manifesta e si esalta in tarda età può invece essere accentuata dalla coesistenza di due fattori, diversi tra di loro, ma spesso co-frequenti
Il primo fattore è temporale: la creatività ha bisogno di ridondanza, di risorse mentali poco utilizzate e di molto tempo libero, elementi ampiamente presenti nel soggetto anziano, ormai al di fuori del ciclo lavorativo. Uno studio dell’Istat ha dimostrato che l’anziano ha almeno sette ore al giorno di tempo libero che utilizza vedendo la TV, ascoltando la radio, leggendo, andando al cinema o al teatro, frequentando luoghi pubblici o sacri, svolgendo attività di volontariato, sport vari e hobbies. In questo tempo libero i momenti di attività creativa possono essere esaltati e sviluppati in modo originale, in relazione alla cultura di ogni singolo soggetto, all’habitat dove vive e opera e, come direbbe Hillman, alla sua disposizione caratteriale
Il secondo fattore è quello comportamentale: studi statistici su premi Nobel e su scrittori e poeti confrontati con un gruppo di controllo, hanno evidenziato come i “creativi” avevano evidenti disturbi dell’umore. Ulteriori ricerche confermarono lo stretto legame tra creatività e depressione ed evidenziarono che il picco della creatività avveniva solo nei soggetti con forme lievi o subcliniche di disturbo bipolare, mentre decresceva sia nei pazienti con grave disturbo depressivo che nei soggetti normali. La depressione minore è, infatti, molto frequente nella fascia d’età avanzata
Per comprendere come si mantiene, si può esaltare o “ricreare” la creatività nella popolazione anziana è necessario osservarne anche il rapporto col genere, lo stato sociale, la situazione economica e lo stato di salute.
La povertà, le malattie, la precarietà economica, la vedovanza, l’essere maschio o femmina possono essere nei confronti della creatività fattori predisponenti, acceleranti o negativi.
In una situazione di precarietà economica ed esistenziale, per un anziano i possibili sbocchi sono sostanzialmente pochi: darsi all’accattonaggio o all’elemosina, sperando nella carità della società, lasciarsi morire d’inedia in una situazione di eutanasia-suicidio d’abbandono o, per contro, stimolare la propria fantasia creativa o “ricreativa” per non cadere nel baratro dell’anonimato o essere resiliente.
Si sviluppano soluzioni incredibili che, di solito, possono mutare rispetto al genere. Mentre, come giustamente fa notare la De Beauvoir, è più facile per una donna, rimasta sola per vedovanza, svolgere senza difficoltà, il ménage giornaliero, avendolo sempre praticato e reinventarsi l’esistenza anche in modo nuovo e creativo, l’uomo, vedovo e solo, invece, non abituato a svolgere le comuni faccende “di casa” (pulire le stanze, fare il letto, cucinare, rammendare, ecc.), può reagire in vari modi, tra loro anche contrastanti. Angosciato dalla solitudine, addolorato dalla perdita della compagna, può entrare nel male oscuro della depressione e dell’accidia, coltivando perfino pensieri anticonservativi o, per contro, trovandosi in questa nuova situazione vuole reagire, manifestando una scintilla creativa che lo aiuta a svolgere in maniera nuova ed efficiente attività a lui prima sconosciute. Inventa piacevoli ricette, anche ricercate e non improvvisate e misere o svolge attività nuove, manuali o intellettuali, utili e soddisfacenti come fattori di collegamenti sociali con giovani o con altri anziani. Deve “imparare” procedure mai praticate nel passato e, in queste circostanze, “il bisogno stimola l’ingegno” e la necessità diventa la molla, la leva che fa sviluppare la creatività quotidiana, quella con la “c” minuscola. Nasce così “il vecchio creativo”. Il poter fare in modo autonomo e con successo attività piccole o grandi, mai praticate in passato, fa crescere nell’anziano il proprio empowerment, in una situazione di costante coping positivo. Sono queste situazioni di precaria emergenza che stimolano la fantasia e fanno diventare creativi “per necessità” gli anziani.
Nel prossimo futuro (che è già presente) l’aumento del numero di anziani maschi soli sarà, forse, il problema socio-assistenziale più complicato e difficile da affrontare e da risolvere. Ma il “dover fare” per vivere, stimola nell’anziano quella creatività dalla “c” minuscola che lo aiuta a muoversi, a pensare, a produrre e a creare. In ultima analisi, la nuova creatività spinge il soggetto a essere vigile, operativo e come tale più sano, più libero e meno isolato e solo. Questa piccola creatività quotidiana rende l’anziano più attivo, più soddisfatto, più propenso a socializzare, non fosse altro per “vantarsi” delle proprie piccole “invenzioni” quotidiane e, non ultimo, lo fa sentire più sano. La soddisfazione nel saper fare, gli fa accettare e apprezzare anche la sua età, sfuggendo alla frequente situazione di rigetto che rifiuta, disprezza e teme la vecchiaia, in un contesto sociale influenzato da un overload giovanilistico imperante nella società attuale, sentimento questo ben percepito e sottolineato da Simone de Beauvoir quando scrive che “molti prendono come un insulto qualsiasi allusione alla loro età: essi vogliono a ogni costo credersi giovani, preferiscono ritenersi in cattiva salute piuttosto che anziani”.
Fabio Moser in “Un’età da abitare” sottolinea che “la creatività non deve essere patrimonio e atteggiamento solo dei giovani o degli artisti, ma può essere di tutti a qualsiasi età, come un atteggiamento verso la vita”. E allora, per avere la gioia di gustare fino in fondo gli anni che gli restano, rendendo sempre più attiva e pregna la sua esistenza, l’anziano ha delle possibilità di coping che possono aiutarlo in tal senso, liberandolo da una situazione totalizzante di autoreclusione per riportarlo vincente e soddisfatto tra gli altri, nella società.
1. Minois G., Storia della vecchiaia dall’antichità al Rinascimento. 1988, Ed. Laterza, Bari
2. World Health Organitation, 2002, Active ageing: a policy framework. Ginevra.
Carmine Macchione
Direttore Scientifico ACSA Magazine,
già professore di Geriatria e Gerontologia dell’Università di Torino