Gestione della cardiotossicità da chemioradioterapie nei pazienti oncologici

NUOVI APPROCCI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI

Dr. Giuseppe Marino Benvenuto
 Direttore Cardiologia Casa di Cura Eretenia
Regione Veneto – Vicenza

Epidemiologia e rilevanza clinica della cardiotossicità da terapie oncologiche

Negli ultimi decenni la sopravvivenza dal cancro è notevolmente aumentata grazie alla precocità delle diagnosi e alle innovazioni terapeutiche con l’introduzione di nuovi farmaci oncologici¹. Abbiamo un numero importante di sopravvissuti a lungo termine (cinque e dieci anni dalla diagnosi) e pertanto occorre affrontare su questi pazienti problematiche cardiologiche sia legate alla stessa terapia oncologica somministrata, sia legate al regolare invecchiamento della popolazione con l’interazione dei fattori di rischio cardiovascolari.

Il tumore e le malattie cardiovascolari condividono altresì gli stessi fattori di rischio (Fig. 1) ², infatti numerose evidenze scientifiche suggeriscono una relazione stretta tra le due patologie caratterizzate da una fisiopatologia comune legata al processo di infiammazione cronica che attiva una cascata di eventi molecolari e la stessa via dello stress ossidativo. Molti fattori di rischio quali l’ipertensione arteriosa, il fumo e le cattive abitudini alimentari con conseguente obesità iperlipemia e iperglicemia sono responsabili degli stessi processi infiammatori per cui sono da considerare fattori di rischio condivisi per entrambe le patologie. Inoltre questi stessi fattori di rischio, oltre a esporre il soggetto a un rischio maggiore di malattie cardiovascolari o tumore, sono anche i maggiori determinanti della tossicità della terapia oncologica. Tale cardiotossicità infine va a impattare sulla sopravvivenza e morbilità dei pazienti sopravvissuti: uno studio ad hoc –  il Childhood Cancer Survivor Study – nei 35 anni di follow-up ha messo in evidenza un aumento di ben 5 volte del rischio di infarto e malattie cardio-cerebrovascolari se confrontati con una popolazione sana di pari età. In questo gruppo di pazienti chemio-radiotrattati e sopravvissuti il contributo clinico di una diagnosi precoce e un trattamento adeguato può ridurre sensibilmente il rischio di sviluppare prematuramente una patologia cardiovascolare.

Figura 1

Definizione e meccanismi di cardiotossicità

Si definisce cardiotossicità la tossicità che colpisce il cuore durante un trattamento oncologico. Il danno cardiaco più noto è la disfunzione ventricolare sinistra che può portare fino allo scompenso cardiaco cronico e progressivo, talora irreversibile con shock cardiogeno e morte. L’avvento dei farmaci biologici e l’attenzione al monitoraggio di tali terapie cardiotossiche ha slatentizzato altri effetti collaterali, dall’ipertensione arteriosa al tromboembolismo, dall’ischemia alle aritmie cardiache e ha costretto Cardiologi e Oncologi a collaborare per una migliore gestione della terapia e dei suoi molteplici effetti collaterali. (Fig. 1 + Tab. 1¹)

Tabella 1

Le Antracicline

Sono gli antineoplastici più noti per la loro cardiotossicità, antibiotici che determinano un danno al DNA cellulare; sono stati introdotti negli anni ’60 ed ancora oggi rappresentano il regime chemioterapico più utilizzato nei linfomi, nel tumore della mammella e del polmone a piccole cellule. Il loro meccanismo d’azione è stato studiato in maniera estesa, ma ancora oggi non è ben chiaro: si ipotizza la morte cellulare da attivazione dei radicali liberi di O2 generati da una reazione ferro-dipendente, che provocherebbe una perossidazione della membrana miocitaria con l’ingresso di calcio nello spazio intracelllulare e un danno permanente della miocellula. Sembra che il Dexrazosane, chelante del ferro, inibisca il meccanismo di azione delle antracicline e talora è usato in clinica per ridurne la tossicità. È noto che il danno da antracicline è dose-dipendente, più frequente nei pazienti molto giovani o anziani (età <5 anni o >65 anni), in chi ha ricevuto una precedente radioterapia al torace e quelli con malattia cardiaca nota o presenza di fattori di rischio cardiovascolari. La tossicità si può esprimere in maniera acuta spesso reversibile e cronica cumulativa come danno “permanente” irreversibile. ³·⁴

Tossicità da cosiddetta “target therapy”

Il Trastuzumab e gli altri agenti con “target” il recettore HER2 sono una nuova generazione di molecole che legano tale recettore HER2, anticorpi monoclonali che bloccano questo recettore per il fattore di crescita dell’epidermide, cosi si blocca la fosforilazione delle tirosinkinasi intracellulari necessarie per la crescita e la sopravvivenza cellulare. La cardiotossicità da trastuzumab si può manifestare con una disfunzione ventricolare sinistra asintomatica o meno frequente come scompenso cardiaco. Rispetto al danno da antracicline, quello del trastuzumab è un danno quasi sempre reversibile. Anche in questo caso vi sono dei fattori predisponenti, età >50 anni pazienti con malattie cardiache pre-esistenti o ipertensione arteriosa, presenza di funzione sistolica ai limiti inferiori (FE tra 50-55%), precedente terapia con antracicline. Un’altra piccola molecola orale che ha come bersaglio Her2 è il Lapatinib, inibitore sia delle tirosinkinasi sia del recettore Her2. Il Pertuzumab è un altro agente che inibisce il recettore Her. Nella pratica clinica è ormai consolidato il monitoraggio della funzione sistolica ventricolare durante il trattamento con tali farmaci.

Inibitori delle tirosin-chinasi e dell’angiogenesi

Il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF) gioca un ruolo essenziale nell’angiogenesi, nella vasodilatazione, nella sopravvivenza delle cellule endoteliali e nella funzione cardiaca. La sua inibizione in campo oncologico ha importanza nella crescita e nello sviluppo tumorale. Dal lato cardiologico, inibire il VEGF può determinare un aumento dei valori di pressione arteriosa, promuove il tromboembolismo arterioso (ictus, attacchi ischemici, infarti etc.) e una disfunzione cardiaca. L’ipertensione arteriosa rappresenta l’effetto collaterale più frequente ed è dose dipendente. Sembra che la presenza di ipertensione arteriosa sia un marker stesso di risposta al trattamento. Molti sono i meccanismi chiamati in causa per spiegare tale risposta ipertensiva: l’inattivazione di eNOS da parte del VEGF responsabile di vasodilatazione e l’aumento della stiffness e delle resistenze vascolari. I pazienti in trattamento con anti-VEGF hanno un rischio triplo di sviluppare un evento tromboembolico arterioso, attraverso un danno microvascolare e potenziano la trombosi. A questo gruppo di terapia si associano anche gli inibitori delle tirosinkinasi, la cui interazione con il sistema cardiovascolare è ancora più complessa, essendo poco selettive se confrontate con gli anticorpi monoclonali. Alcuni di essi, quali il Sunitinib, possono essere causa anche di disfunzione ventricolare sinistra, alterando i meccanismi di adattamento del cuore al sovraccarico di pressione e determinando un rimodellamento cardiaco sfavorevole.

Tossicità da Radioterapia La radioterapia ha migliorato la sopravvivenza in numerosi tipi di tumori, quali linfomi, mammella, polmone e tumori del collo. Tuttavia essa può indurre cardiotossicità attraverso varie manifestazioni, in acuto e in cronico. In acuto, la forma di tossicità cardiaca più frequente è la pericardite o il versamento pericardico. In cronico, i danni da radioterapia possono manifestarsi anche a distanza di 10-15 anni con forme di pericardite costrittiva, cardiomiopatie (soprattutto restrittive), alterazioni valvolari, coronaropatia ostruttiva, oltre a malattia vascolare periferica. L’incidenza e la severità del danno dipendono dalla dose radiante, dal volume esposto, l’età giovane, la concomitante terapia adiuvante e la presenza di fattori di rischio cardiovascolari. Oggigiorno le tecniche usate in radioterapia sono cambiate rispetto a quelle usate fino agli anni ’90. Per esempio, i giovani radiotrattati per linfoma di Hodgkin negli anni ’80-90 hanno nel follow-up una maggiore incidenza di valvulopatie coronaropatie ischemiche e scompenso cardiaco rispetto ai non radiotrattati. La fisiopatologia del danno da radioterapia non è ancora del tutto chiara: l’istologia evidenzia una sostituzione fibrosa del miocardio, delle valvole e del pericardio colpiti dalla irradiazione; anche le arterie di piccola e media dimensione presentano un’attivazione dell’infiammazione cronica.  Le valvole più colpite sono quelle di sinistra, aortica e mitrale.  Oggi la simulazione tomografica permette di escludere il cuore dal fascio radiante e il “gating” respiratorio riduce l’esposizione cardiaca nei pazienti trattati con radioterapia per linfomi H e non H e tumori alla mammella.

                     Metodi di monitoraggio della Cardiotossicità delle terapie oncologiche.

Oltre alla valutazione clinica completa con ECG le due metodiche diagnostiche più utilizzate sono la Ecocardiografia e il dosaggio dei due biomarcatori cardiaci, la Troponina e i Peptidi Natriuretici. ³·⁴

Tradizionalmente, la tossicità cardiaca subclinica è stata rilevata valutando la riduzione di frazione di eiezione ventricolare sinistra (FEVS) con l’uso di ecocardiografia o altro imaging. Anche se utile, questa strategia è però limitata da 2 fattori: 1) vi è danno miocardico significativo quando il calo della FEVS è ancora non evidente, 2) l’imaging è costoso richiede tempo ed è poco pratico quando viene utilizzato come modalità di screening.

I Biomarcatori 

I biomarker cardiaci recentemente sono stati molto studiati come precoci rivelatori di tossicità cardiaca da terapie antitumorali, pertanto per una diagnosi precoce di tossicità miocardica il dosaggio dei biomarcatori cardiaci diventa una strategia alternativa. Teoricamente, questa strategia offre vantaggi rispetto all’imaging come strumento di screening perché è meno costoso, più facile da effettuare, e ha il potenziale di misurare la tossicità prima ancora che si manifesti all’eco con riduzione della FE.  L’interpretazione dei dati, inoltre, non dipende dall’esperienza dell’operatore, eliminando il problema della variabilità intra e inter-osservatore.  L’utilizzo integrato dell’imaging e dei biomarcatori può aiutare a determinare il rischio di base di cardiotossicità e identificare i pazienti che potrebbero trarre beneficio dal monitoraggio cardiaco o da strategie farmacologiche cardioprotettive. ³·⁴

Troponina Entrambe le troponine cardiache hanno la stessa precocità del CK-MB (4-6 ore dopo l’insorgenza dei sintomi), raggiungono il picco dopo 14-36 ore e tornano ai livelli di normalità dopo 7-8 giorni (cTnI) o dopo 12 giorni (cTnT). La troponina cTnI è comunemente utilizzata nella diagnosi di sindrome coronarica acuta, tuttavia qualsiasi insulto al miocardio che si traduce nella morte delle miocellule, lesione o aumento della permeabilità della membrana può portare a sue elevazioni. Considerata la elevata sensibilità del test, è possibile riscontrare livelli misurabili in cuori sottoposti a farmaci cardiotossici, per il resto sani, anche se in genere i valori riscontrabili sono molto bassi. Nonostante questo, più studi hanno sostenuto che l’innalzamento fasico della troponina anche se modesto diventa un fattore predittivo di successiva disfunzione ventricolare sinistra in pazienti trattati con farmaci antineoplastici, stratificando il loro rischio cardiaco a breve e a lungo termine. Gli studi con il monitoraggio di TnI insieme alla FEVS con imaging eco sono stati eseguiti sia nei pazienti trattati con Antracicline che Trastuzumab, somministrati nello stesso ciclo o in ciclo successivo: lo studio italiano piu ampio e noto in letteratura è quello del gruppo milanese dello IEO (Cardinale D. et al. Circulation 2004): oltre 250 pazienti seguiti in un lungo FU in cui il dosaggio della TnI ha offerto un valore prognostico e decisionale terapeutico maggiore rispetto alla sola FEVS. Livelli di TnI >0,5 ng/ml, erano predittivi di diminuzione FEVS successiva, soprattutto per incrementi del valore tra una visita e l’altra. Il dosaggio, dunque, della TnI può consentire di iniziare la terapia cardioprotettiva (ACE-inibitori e beta bloccanti) garantendo in buona parte dei pazienti, la ripresa della funzione sistolica. ³·⁴

La terapia cardine cardioprotettiva consiste quindi nel somministrare precocemente ACE-inibitori e/o beta bloccanti. I primi attenuano lo stress ossidativo e la fibrosi interstiziale, migliorano il metabolismo del cardiomiocita e la funzione mitocondriale. I secondi riducono la mortalità nei pazienti con funzione sistolica compromessa, riducendo inoltre lo stress ossidativo.

I Peptidi Natriuretici

Negli ultimi anni vi è stata una moltitudine di pubblicazioni sull’argomento. I primi dati sin dalla fine anni 90 hanno documentato un ruolo predittivo dell’NT-proBNP e derivano da uno studio prospettico europeo condotto su 52 pazienti affetti da tumori sia solidi sia ematologici trattati con chemioterapia ad alte dosi. I pazienti sono stati sottoposti a un regolare monitoraggio delle funzioni sistolica e diastolica VS tramite ecocardiografia (prima del trattamento, alla fine del ciclo di chemioterapia e dopo 1 anno dalla fine della stessa), e alla misurazione delle concentrazioni di NT-proBNP in 6 tempi diversi di campionamento (al basale e al termine dell’infusione e successivamente dopo giorni dal termine del ciclo). Solo i pazienti con persistente aumento di NT-proBNP dopo 3 gg dalla fine della chemioterapia hanno sviluppato una qualche forma di insufficienza cardiaca durante i 12 mesi di osservazione. Questi risultati trovano conferma in uno studio più recente dove sono stati arruolati 109 pazienti. I biomarker cardiaci (TnI, BNP) sono stati misurati prima e entro 24 ore dopo il completamento della somministrazione di antracicline per ogni ciclo. La FEVS è stata calcolata tramite ecocardiografia al basale, al completamento della chemioterapia e a 6 o 12 mesi ed anche basato su sospetto clinico di un evento cardiaco. Dei 109 pazienti arruolati, il 10% è andato incontro a un evento cardiaco, tutti questi pazienti avevano almeno un valore di BN P>100pg/mL prima dell’evento cardiaco. Una significativa riduzione della FEVS si è verificata in solo 3 dei 10 pazienti (30%) con evento cardiaco. Questo studio suggerisce che, tra i biomarcatori cardiaci, il BNP può diventare un utile strumento di screening per individuare i pazienti a rischio di eventi cardiovascolari futuri. L’utilizzo integrato della valutazione di sintomi, esame obiettivo, analisi di laboratorio (compreso il dosaggio del BNP) e l’ecocardiografia aumenta così la sensibilità nella diagnosi precoce di cardiotossicità rispetto al singolo utilizzo della FEVS.

Contrariamente, uno studio recente sulla diagnosi precoce di cardiotossicità indotta da antracicline è stato progettato con l’intento di valutare l’utilità della troponina cardiaca T (cTnT) e NT-ProBNP per prevenire la disfunzione cardiaca. In questo studio prospettico sono stati arruolati 33 pazienti con diagnosi di cancro mammario: è stata effettuata valutazione cardiaca di base mediante ecocardiografia e i due biomarcatori. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a dosaggio di cTnT e di NT-ProBNP entro le 24 ore di ogni ciclo di chemioterapia e seguiti dopo 6 mesi dall’inizio della chemioterapia. Ben 32 pazienti hanno mostrato un aumento di NTproBNP almeno una volta durante il ciclo di chemioterapia. 4 pazienti presentavano NT-ProBNP persistentemente aumentato a ogni ciclo 14 pazienti avevano valori che fluttuavano poco sopra il limite superiore (125 pg/ml), mentre 15 pazienti hanno mostrato fasi in cui i valori aumentavano o diminuivano di parecchio sopra il limite. Un solo paziente non ha mai mostrato alcun aumento di NT-proBNP durante la chemioterapia, ma nessuno di questi, in conclusione, ha riportato a 6 mesi cambiamenti significativi della funzione sistolica.

Ancora meno definita è l’informazione dei peptidi natriuretici nella cardiotossicità indotta da anticorpi monoclonali. Pochi studi, su piccole popolazioni, principalmente pazienti con carcinoma mammario trattate con trastuzumab, hanno prodotto risultati contrastanti. Infatti, se alcuni studi hanno definito il dosaggio dell’NT-proBNP un promettente strumento nella gestione del paziente trattato, altri non hanno confermato alcun ruolo predittivo di cardiotossicità.

L’informazione fornita da misurazioni del BNP e NT-proBNP nella valutazione della cardiotossicità rimane ancor oggi di difficile interpretazione: la diversità dei dati in letteratura, la dimensione del campione insufficiente, l’eterogeneità della popolazione studiata e la differente valutazione cardiologica (tramite indici di disfunzione sistolica, altri diastolica e raramente di entrambe) rendono il confronto dei risultati dei diversi studi piuttosto complesso. Ulteriori studi prospettici e su popolazioni più ampie consentiranno di definire meglio se il dosaggio del BNP possa essere una strategia preventiva efficace, ma allo stato attuale manca per questo ormone una chiara evidenza di marker precoce di cardiotossicità. 

In conclusione, per l’utilizzo dei biomarcatori nella pratica clinica in CardioOncologia i dati non sono univoci, anche in considerazione del fatto che i numeri delle popolazioni sono piccoli e gli studi sono monocentrici. Siamo in attesa della pubblicazione dei trials multicentrici randomizzati in corso.  Pertanto i dati disponibili sull’uso dei biomarcatori non sono attualmente considerati sufficientemente solidi per proporre una modalità di monitoraggio standard o in alternativa all’eco seriato. Per tali motivi condividiamo il “Position Paper on cardiovascular toxicity” dell’ESC 2016 dove si afferma che le evidenze scientifiche sono ancora insufficienti per stabilire il significato di piccoli incrementi dei biomarkers, i risultati sono variabili con le differenti metodiche dosimetriche e il ruolo della sorveglianza routinaria non è ancora accettabile . (Tab. 2 ¹)

Tabella 2 ¹

Imaging ed Ecocardiografia

La metodica di imaging scelta è legata alla disponibilità e all’esperienza maturata dal centro dove si lavora; tuttavia, nel mondo reale, l’ecocardiografia è la tecnica di imaging cardiaco più utilizzata. Tale preferenza è giustificata non solo dal fatto che si tratta di una metodica relativamente economica ma anche dalla sua ampia diffusione, dall’assenza di rischi per il paziente e dalla facile ripetibilità.

La frazione d’eiezione del ventricolo sinistro (FEVS) rappresenta il parametro maggiormente utilizzato per la diagnosi di cardiotossicità. Il calcolo della FEVS può essere eseguito con la metodica bidimensionale (2D), tridimensionale (3D) e, se necessario, con ausilio di mezzo di contrasto. L’indice maggiormente utilizzato è la FEVS in eco-2D ottenuta con il metodo biplano di Simpson. Uno dei criteri ecocardiografici per definire la cardiotossicità indotta da chemioterapia prevede la riduzione della FEVS ≥10 punti percentuali fino a un valore al di sotto del limite inferiore del range di normalità. Il valore deve essere confermato da un ulteriore eco eseguito entro due o tre settimane di distanza. La riduzione della FEVS durante il trattamento del carcinoma mammario con antracicline, in aggiunta o meno con Trastuzmab, è associato a un numero aumentato di eventi cardiovascolari nel follow-up. (Vedi algoritmi proposti in Fig. 3 e 4)

F

Figura 3

Figura 4

Il danno può essere completamente reversibile, con maggiore probabilità se la diagnosi è stata precoce, parzialmente reversibile o irreversibile. Tale tecnica, utilizzata da più operatori, ha una variabilità tale che spesso non è affidabile poter stimare un calo del 10%; dunque, il calcolo della FEVS potrebbe risultare non accurato. L’ecocardiografia 3D ha dimostrato di essere maggiormente precisa rispetto all’ecocardiografia 2D nel calcolo dei volumi del ventricolo sinistro. (Fig. 5)

Figura 5

La validazione della metodica è stata provata rispetto alla risonanza magnetica cardiaca, vero ‘gold standard’ con un range di correlazione tra 0.90 e 0.97, mentre l’ecocardiografia 2D ha dimostrato una correlazione meno stretta con un range intorno a 0.50. Sebbene l’utilizzo dell’ecocardiografia 3D sembri essere la metodica eco di scelta nel monitoraggio dei pazienti sottoposti a terapia antitumorale,così non avviene nel mondo reale. Questo fatto è dovuto alla ridotta diffusione nel territorio della tecnologia 3D e alla sua ridotta applicabilità nelle finestre acustiche subottimali. La visualizzazione subottimale del bordo endocardico infatti è uno dei limiti sia nell’ecocardiografia 2D sia in quella 3D. Tale evenienza è frequente non solo nei pazienti obesi o con patologie respiratorie ma soprattutto nelle pazienti sottoposte a precedenti interventi di mastectomia o portatrici di espansore mammario o pregressa irradiazione. In questi casi può essere indicato l’utilizzo degli agenti di contrasto ultrosonici che migliorano la definizione del bordo endocardico, riducendone la variabilita inter-osservatore. È importante sottolineare che il monitoraggio della FE deve essere fatto sempre con la stessa metodica nel singolo paziente, poiché esiste una variabilità tra le differenti tecniche di imaging cardiaco. Inoltre, nel follow-up è sempre consigliabile confrontare le immagini acquisite con quelle dell’esame precedente in modo da verificare se le variazioni osservate di FEVS sono significative.

L’ecocardiografia 2D è inoltre la metodica migliore per lo studio della funzione diastolica VS e il riscontro di una sua alterata funzione può rappresentare un segno precoce di cardiotossicità. I parametri comunemente utilizzati sono derivati sia dal Doppler pulsato sia dal più recente Tissue Doppler Imaging (TDI). La riduzione del rapporto tra le velocità di riempimento del ventricolo sinistro (E/A) e l’aumento del rapporto E/e’ al TDI sono reperti piuttosto comuni nei pazienti trattati con chemioterapia; tuttavia in letteratura non hanno dimostrato un valore predittivo di cardiotossicità nel follow-up a lungo termine. Tale limite è dovuto al fatto che queste alterazioni della funzione diastolica tipicamente compaiono con l’aumentare dell’età, in presenza di fattori di rischio cardiovascolare es. l’ipertensione e, infine, dipendono dalle condizioni di carico emodinamico e frequenza cardiaca del paziente. Negli ultimi anni i parametri che derivano dall’analisi del TDI sono stati sostituiti dall’ecocardiografia “speckle tracking” che fornisce informazioni sulla meccanica del miocardio, tra cui la velocità di movimento delle pareti del miocardio e ulteriori parametri di deformazione sistolica del muscolo cardiaco.

La metodica dello speckle tracking e in particolare il ‘global systolic longitudinal myocardial strain’ (GLS) in eco-2D, permette di individuare precocemente l’insorgenza di cardiotossicità in una fase di danno subclinico quando ancora la FEVS risulta normale e si correla con l’edema e la fibrosi delle pareti ventricolari e con l’aumento dello stress infiammatorio-ossidativo indotti dai farmaci cardiotossici. 

Nel follow-up, la riduzione del GLS ≥15% rispetto all’eco basale è considerata marker di precoce disfunzione ventricolare sinistra indipendentemente dai valori della FEVS. Al momento, i maggiori limiti all’utilizzo dello speckle tracking sono principalmente legati a una ridotta expertise da parte dei laboratori di ecocardiografia nonché alla mancata standardizzazione dei valori di normalità in base alla casa costruttrice dell’ecografo. (Fig. 6)

Figura 6

Conclusione

Non vi è al momento attuale una univoca classificazione del danno cardiaco e sull’indicazione circa i tempi, la durata e la frequenza dei controlli. Il metodo tradizionale del monitoraggio del danno mediante il controllo seriato della frazione di eiezione è comunque – anche se universalmente molto usato perché diagnosi-specifico, – poco sensibile e l’utilizzo su larga scala dei dei biomarcatori e dei metodi ecocardiografici alternativi (3-D, speckle-tracking con il delta-GLS%) è ancora prematuro per quanto molto promettente e di semplice esecuzione.

Il ‘take-home message’ deve essere che lo screening della cardiotossicità da chemioterapie non va attuato a tutti nello stesso modo ma va ‘tailorato’ sulla misura del profilo di rischio clinico del paziente; occorre pertanto evitare di eseguire troppi Ecocardio e dosaggi dei biomarcatori cardiaci durante un regolare follow-up. Opportuna sempre una stretta collaborazione tra Cardiologi e Oncologi attraverso la condivisione delle competenze, solo questo  può favorire una stratificazione corretta del rischio dei pazienti e permettere di realizzare il programma di monitoraggio più adeguato ed efficace, volto ad intercettare precocemente il danno e a stabilire la più opportuna terapia preventiva cardiologica.

Bibliografia. Letture consigliate

1. Gruppo di lavoro AIOM-AICO
PROGETTO SPECIALE “CARDIO-ONCOLOGIA” 2015-2017

2. Tarantini L et al.
Monitoraggio del danno cardiaco nel paziente oncologico in trattamento con farmaci cardiotossici G Ital Cardiol 2013

3. Benvenuto GM et al.
Chemotherapy-related cardiotoxicity: new diagnostic and preventive strategies. Ital Heart J 2003

4. P Morandi, PA Ruffini, GM Benvenuto et al.
Cardiac toxicity of high-dose chemotherapy. Bone Marrow Transplantation 2005

5. Jan M Leerink et al.
Biomarkers to diagnose ventricular dysfunction in childhood cancer survivors: a systematic review Heart-BMJ 105, 2018

6. J.L.Zamorano et al.
Position Paper on cancer treatments and cardiovascular toxicity developed under the auspices of the ESC Committee for Practice Guidelines 2016 ESC TheTask Force for  cancer treatments and cardiovascular toxicity of the European  Society of Cardiology

7. Metha H. et al.
AHA SCIENTIFIC STATEMENT Cardiovascular Disease and Breast Cancer: Where These  Entities Intersect. Scientific Statement from American Heart Association Circulation 2018  

8. Mondillo S. et al.
Speckle-Tracking Echocardiography. A New Technique for Assessing Myocardial Function J Ultrasound Med 2011

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