I nuovi glucometri nella personalizzazione della cura del diabete
Felice Strollo1, Giovanna Strollo2
1 Istituto San Raffaele Termini, Roma; 2 Ospedale FBF San Pietro, Roma
Il monitoraggio glicemico, come affermano tutte le società diabetologiche, non è solo un metodo utile a conoscere i valori circolanti del glucosio ma anche – e soprattutto – un elemento fondamentale della cura. L’analisi del diario giornaliero delle misurazioni eseguite ad orari opportunamente prefissati, infatti, consente al paziente di adattare la terapia al proprio stile di vita e al diabetologo di sfruttare la visita periodica di controllo per rendere il paziente più partecipe, consapevole e attivo nella gestione quotidiana della patologia.
La misurazione sfrutta la reazione di ossidazione del glucosio basandosi su due metodi alternativi, glucosio-ossidasi o glucosio-deidrogenasi: la velocità di tale reazione risulta proporzionale alla concentrazione di glucosio nel sangue e l’accoppiamento del dato elettrico alla lettura emato-chimica fornisce il risultato finale.
Nel tempo si è assistito a un progressivo miglioramento tecnologico degli strumenti, con lo sviluppo di dispositivi sempre più affidabili, pratici e facili da usare: così, dai primi misuratori degli anni ’70, basati su una striscia reattiva che modificava il colore in proporzione alla reazione del glucosio del sangue con la glucosio-ossidasi presente nella striscia stessa, si è passati ad apparecchi elettrici per effettuare una lettura colorimetrica strumentale sempre più miniaturizzati. Ora poi i glucometri, oltre ad assumere dimensioni molto piccole, sono divenuti maneggevoli, sono dotati di connessione al computer per la gestione dei dati e a volte presentano degli optional particolari, come un display colorato, elevata dimensione dei caratteri per una lettura semplificata e addirittura la possibilità di allarmi acustici e di comunicazione del risultato in lingua attraverso un piccolo altoparlante incorporato.
Un’osservazione, poi, che spesso sfugge all’osservatore meno attento è che tutti gli strumenti attualmente impiegati prevedono il marchio CE, ma quest’ultimo da un lato subisce una facile contraffazione, dall’altra non è in grado di per sé di garantire un’elevata qualità in accordo con gli standard ISO (International Organization for Standardization), la più importante organizzazione mondiale per la definizione di norme tecniche. Il problema della qualità, tra l’altro, non si limita al glucometro come tale, ma anche alla variabilità dei lotti di strisce prodotte per lo stesso sistema di misurazione, che va a sommarsi alle possibili fonti di errore legate all’operatore.
Per tale motivo è sembrato indispensabile rivedere in maniera più precisa le suddette norme e dalla metà di maggio 2016 tutti i dispositivi per il monitoraggio glicemico di nuova immissione devono essere certificati secondo la norma ISO 15197:2013 e dal 30 ottobre 2016 quelli già sul mercato devono aver dimostrato di essere conformi a tale norma.
La ISO 15197:2013, infatti, ha modificato i criteri di validità del dato, prevedendo un controllo non soltanto sullo strumento ma anche sulla qualità delle strisce reattive.
Ciò è avvenuto per ovviare al fatto che gli standard precedenti, emanati nel 2003, consentivano un errore clinicamente influente per valori glicemici sia elevati, sia soprattutto bassi o bassissimi. La concordanza fra risultato noto e atteso era di fatto elevata nei valori compresi tra 100 e 250 mg/dL ma diminuiva, pur rimanendo ancora accettabile, al di fuori di tale range e soprattutto era pericolosamente scarsa per valori di 40-50 mg/dL. L’affidabilità del dato, in questa luce, era molto aleatoria.
Ora la nuova norma ha di fatto escluso dal mercato un buon numero di prodotti che erano in vendita da anni e, grazie ad un’aggressiva politica dei prezzi, si erano aggiudicati un fatturato significativo senza peraltro garantire l’accuratezza e la precisione necessarie ad un efficace controllo metabolico da parte di pazienti gravemente scompensati e/o insulinodipendenti.
Date le ripercussioni positive sul controllo glicemico, la norma ISO 15197:2013 rappresenta inoltre un ulteriore passo in avanti anche verso lo sviluppo del micro-pancreas artificiale, una tecnologia, cioè, “ad ansa chiusa” in grado di realizzare un controllo glicemico sottocutaneo continuo in collegamento diretto con il microinfusore di insulina e di modulare il rilascio di insulina in rapporto alle reali esigenze derivanti dall’attività svolta, dall’alimentazione e dal la tendenza del profilo istantaneo delle concentrazioni di glucosio sottocutaneo tradotte con opportuno algoritmo in glicemia.
NUOVI CRITERI DI ACCETTABILITA’ PER L’ACCURATEZZA
In relazione con gli errori casuali e sistematici, dobbiamo fare chiarezza sui due termini che molti ancora tendono erroneamente ad usare come sinonimi e che vanno chiaramente tenuti distinti:
per accuratezza si intende il grado di approssimazione di una misura al valore vero della grandezza esaminata;
per precisione si intende la ripetibilità della misura di tale grandezza.
Entrambe tali qualità sono perseguite fortemente dalla norma in esame, che per l’accuratezza prevede che:
- il 95% dei risultati cada in un intervallo di riferimento più ristretto rispetto agli anni precedenti:
- ±15 mg/dl per valori < 100 mg/dl (in precedenza < 75 mg/dl);
- ±15% per valori ≥ 100 mg/dl (in precedenza < 75) mg/dl;
- il 99% dei singoli valori misurati sia compreso entro le zone A e B della griglia di errore di Parkes (vedi Fig. 1).
Fig. 1. Griglia di errore di Parkes (CEG) (da Pfützner et al., 2013, modificata da Ceriello, 2015, [1, 2]).
Devono essere escluse anche possibili interferenze a livelli definiti in apposite linee guida (Clinical Chemistry EP7-A2 Guideline) e quindi, per la precisione, la normativa richiede che le misurazioni:
- siano effettuate in duplicato da 3 lotti di reagenti su 100 soggetti diversi per un totale di 600 misurazioni (rispetto alle 200 precedenti);
- possano deviare al massimo di ±10 mg/dl per valori < 100 mg/dl;
- presentino una variabilità pari a ±10% per valori ≥ 100 mg/dl.
Come accennato prima, l’attuale tecnologia dei glucometri è in gran parte elettrochimica e, per le caratteristiche stesse del metodo utilizzato, richiede pochi microlitri di sangue, per lo più rapidamente aspirati dalla striscia per capillarità: in questo modo viene eliminato il rischio del riempimento parziale dell’area di reazione, che nelle prime apparecchiature comportava errori ben superiori al 20% a qualsiasi livello di concentrazione ci si riferisse.
La tecnologia utilizzata dai glucometri più innovativi, poi, è di tipo elettrochimico dinamico, sfrutta cioè un algoritmo sofisticato in grado di correggere eventuali fattori interferenti:
- endogeni, quali soprattutto:
- ematocrito
- se alto comporta una sottostima del valore,
- se basso comporta una sovrastima del valore perché l’aumento del numero degli eritrociti impedisce la diffusione del plasma attraverso lo strato reagente, bloccando i pori nella membrana o diminuendo il volume plasmatico disponibile per la diffusione,
- bilirubina,
- acido urico per valori > 10 mg/dL,
- urea,
- creatinina,
- colesterolo,
- trigliceridi.
- esogeni, quali soprattutto:
- maltosio, galattosio, xilosio,
- icodestrina,
- vitamina C,
- contaminanti alcoolici cutanei,
- paracetamolo.
Esistono poi elementi fisici che possono interferire con l’accuratezza della misura. Prima dell’immissione in commercio, quindi, la FDA americana prevede che un glucometro [3]:
- superi i seguenti Flex (stress) test:
- Mechanical Vibration Testing,
- Shock Testing,
- Electromagnetic compatibility (EMC) Testing,
- Electrostatic Discharge/Electromagnetic Interference Testing;
- dimostri di operare in modo accurato in condizioni estreme di:
- altitudine (almeno oltre i 3000 metri),
- umidità,
- temperatura.
Quasi tutti ormai prevedono anche l’utilizzo di sedi di prelievo alternative alle punte delle dita, quali il palmo della mano, l’avambraccio, la coscia o la caviglia ma è molto importante evitare tali sedi in condizioni di rapida variazione glicemica, come in fase post-prandiale precoce, in corso di esercizio fisico, in caso di malattia febbrile o di stress acuto o anche poco dopo la somministrazione di insulina.
Da quanto finora esposto, risulta chiaro come il team diabetologico possa adattare al singolo paziente la scelta dell’apparecchio e scelga quindi in maniera ragionata fra una serie di opzioni, di fatto contribuendo alla personalizzazione della terapia al di là del pur complesso utilizzo dei farmaci attualmente disponibili. Tra l’altro, proprio perché il risultato sia garantito al meglio, ogni glucometro viene consegnato dal centro diabetologico dopo una seduta di educazione terapeutica strutturata sulle modalità di rilevazione e registrazione delle glicemie su diario e una verifica delle reali capacità di utilizzo che confermi un grado ottimale di apprendimento pratico da parte del paziente.
Ciò va sempre tenuto presente anche dai medici di medicina generale, che a volte, non sufficientemente informati sui reali motivi del rifiuto dei loro assistiti a cambiare il glucometro in dotazione, credono di trovarsi di fronte a un capriccio o a una reazione irrazionale dettata semplicemente da un’abitudine o da un legame quasi “affettivo” con quello che ritengono un loro “compagno di vita” quotidiano.
Sarebbe utile invece, ove possibile, che tuti noi affiancassimo le associazioni dei pazienti nelle loro azioni di resistenza al reiterato tentativo da parte delle istituzioni regionali di attuare risparmi riducendo tout court il numero mensile di strisce ammesso a rimborso e a realizzare gare al ribasso per selezionare due soli apparecchi, uno per il chi è trattato con ipoglicemizzanti orali e uno chi assume insulina.
Il rapporto medico-paziente ne risulterebbe ulteriormente rafforzato e il medico di medicina generale, che a volte in alcune realtà periferiche viene considerato estraneo alle scelte terapeutiche condivise fra paziente e diabetologo, verrebbe finalmente a far parte a pieno diritto del team diabetologico sull’intero territorio nazionale.
Bibliografia.
1) Pfützner A et al. Technical aspects of the Parkes error grid. J Diabetes Sci Technol 2013;7:1275-81
2) Ceriello A. Valenza clinica delle norme ISO per i device per l’autocontrollo glicemico. MeDia 2015; 15: 46-9
3) US Food and Drug Administration. 2014. http://www.fda.gov/downloads/MedicalDevices/DeviceRegulationandGuidance/GuidanceDocuments/UCM380327.pdf