Il consenso informato

La problematica del consenso informato del paziente costituisce una delle questioni più delicate nel rapporto tra medico e ammalato sia sul piano della relazione professionale sia su quello di possibili ricadute in caso di controversie, anche giudiziarie, in caso di esito infausto delle cure.

Alcuni punti fermi di carattere generale vanno ricordati, a mo’ di premessa, per poter fornire indirizzi precisi ai medici curanti.
Il codice deontologico ribadisce, nel suo ultimo testo del dicembre 2006, che il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente (art. 35). Tale disposizione è perfettamente in linea con quanto stabilito dalla convenzione di Oviedo, ratificata dall’Italia con la Legge 145/2001. L’art. 5 della convenzione stabilisce, infatti, che un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato.

Non vi sono particolari difficoltà quando si tratti di paziente capace di intendere e di volere, cioè in grado di comprendere adeguatamente le informazioni da parte del medico sulla sua patologia e sul trattamento, clinico o chirurgico, necessario. In questi casi il paziente deve essere adeguatamente informato dal medico e l’effettuazione della terapia, ivi compresi accertamenti diagno.stici, presuppone che il malato abbia prestato il suo consapevole e volontario consenso.
Le difficoltà possono insorgere, nella pratica anche quotidiana, quando si tratti di malato incapace, cioè non in grado di comprendere le notizie sulla sua malattia e sulla terapia da pra.ticare, e quindi non in grado neppure di espri.mere al riguardo un valido consenso.

Il Consenso Informato nel paziente incapace di intendere e di volere

Ribadito tale principio generale, affrontiamo ora la specifica problematica del consenso da parte del paziente anziano.
Si impone una distinzione: il caso di paziente la cui incapacità di intendere e di volere sia stata già giudizialmente riconosciuta con la nomina di un tutore a seguito dell’interdizione del malato, e il caso in cui tale incapacità di inten.dere e di volere, pur concretamente esistente, non sia stata seguita da un provvedimento di interdizione.

L’anziano già interdetto
In questa situazione il medico che deve procedere a un trattamento diagnostico o terapeutico deve informare il tutore del paziente e deve ottenere il consenso da parte dello stesso.
La legge italiana ha di recente introdotto anche la figura, accanto a quella tradizionale del tutore, del cosiddetto amministratore di sostegno, chiamato a curare essenzialmente gli interessi patrimoniali di una persona che non è in grado di provvedervi adeguatamente per conto proprio.
Il Tribunale di Torino ha più volte ribadito che, in caso di intervento medico su un paziente munito di amministrazione di sostegno, il consenso dell’amministratore di sostegno non è sufficiente. Occorre sempre e comunque attivare la nomina di un tutore il quale abbia la potestà di esprimere il consenso in nome e per conto del paziente incapace di intendere e di volere.
Ovviamente, la necessità di un previo consenso da parte del legale rappresentante non è richiesta tutte le volte in cui l’intervento medico sia necessario per fronteggiare un pericolo di vita o comunque un rischio grave per la salute del paziente incapace.
In tale evenienza il medico deve procedere senza ritardo agli interventi necessari in vista della cura indispensabile, anche a prescindere della previa informazione e dal previo consenso da parte di chi ha la rappresentanza legale dell’anziano dichiarato interdetto.
Questa conclusione si fonda su precise disposizioni di legge, e in particolare sugli articoli 51 e 54 del codice penale, i quali prevedono che comportamenti in teoria non consentiti – come per l’appunto un trattamento terapeutico privo di previo consenso – sono legittimi in ossequio al principio dell’adempimento di un dovere da parte del medico a curare un malato in pericolo di vita o grave rischio per la propria salute, e del cosiddetto stato di necessità
Tale regola è riaffermata dall’art. 37 del codice di deontologia medica secondo il quale, se vi è pericolo di vita o grave rischio per la salute del paziente incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili.
Nel caso in cui sorga un contrasto tra il medico curante e il legale rappresentante del-l’anziano interdetto in ordine all’effettuazione del trattamento medico o chirurgico, il medico deve investire del problema il tribunale competente per il territorio (luogo di residenza dell’anziano interdetto). Sarà il tribunale, attraverso il giudice specializzato per la cosiddetta volon.taria giurisdizione, a decidere se il trattamento medico-chirurgico debba essere effettuato.

L’anziano privo di Legale Rappresentante
Esaminiamo ora il problema, più complesso, dell’anziano affetto da patologie che comportano una sua incapacità di intendere e di volere, ma che è privo di un legale rappresentante, non essendo stato dichiarato interdetto dal tribunale. È una situazione molto frequente, che i medici, soprattutto i geriatri, ben conoscono, e che riguarda ad esempio i malati di Alzheimer o altre forme di demenza.
Non vi sono al riguardo nella legge disposizioni specifiche che regolino l’acquisizione del consenso in queste situazioni.
Di fatto è invalsa la prassi di informare i famigliari dell’anziano e di ottenere da loro il consenso al trattamento medico ritenuto necessario.
Và però detto con estrema chiarezza che dal punto di vista legale il consenso da parte di un famigliare non ha valore giuridico e quindi in caso di esito infausto del trattamento medico, il sanitario non può invocare come motivo di legittimità del proprio intervento il fatto di aver informato il coniuge o il figlio o altri parenti dell’anziano incapace e di aver ottenuto da uno di costoro il consenso al trattamento terapeutico.
Per orientare, allora, il medico in questi casi, occorre fissare alcuni principi fondamentali.
• Se il trattamento medico, inteso in senso lato, è necessario per salvaguardare la vita del paziente incapace e non interdetto, il medico è legittimato, direi anzi è obbligato, a procedere a prescindere da qualsiasi previo consenso. La legittimità del suo intervento è garantita dalle norme prima richiamate del codice penale (art. 51 e 54) e del codice deontologico.
• Quando si tratti, invece, di interventi medici “importanti” come ad esempio un intervento chirurgico per la riduzione della frattura di un femore o similari; per l’installazione di una protesi o di un apparato che consenta l’alimentazione artificiale del paziente, il medico curante (o la direzione della struttura sanitaria nella quale il paziente è ricoverato) deve rivolgersi al competente giudice tutelare del tribunale affinché si provveda all’urgente nomina di un tutore, al quale poi il medico (o la direzione sanitaria competente) chiederà il consenso all’intervento, necessario ma non caratterizzato da una urgenza salvavita.
Segnalo che presso il Tribunale di Torino è attivato un sistema di nomina, in questi casi, molto rapida di un tutore in maniera tale da evitare che trascorra un eccessivo lasso di tempo controindicato ai fini di un adeguato intervento terapeutico.
• Vi è infine l’ultima ipotesi, forse la più frequente nella prassi quotidiana ma anche la più difficile da risolvere sul piano giuridico pro.prio per la mancanza di una specifica regolamentazione ad hoc. Mi riferisco ai trattamenti sanitari “normali”, quando cioè il medico deve prescrivere accertamenti diagnostici ordinari o trattamenti terapeutici per fronteggiare le patologie dell’anziano incapace di intender e di volere ma non munito di un tutore. Dal punto di vista pratico sarebbe una “follia” esigere che venisse attivata ogni volta la procedura per la nomina di un tutore previa dichiarazione di interdizione dell’anziano incapace. I numeri di tali procedure sarebbero del tutto ingestibili da parte del tribunale, anche a voler prescindere dalle difficoltà burocratiche in cui il medico si verrebbe a trovare, con frequenza quasi giornaliera, per attivare la nomina di un tutore. Per risolvere il problema in modo ragionevole e sensato si deve partire dall’articolo 32 del codice di deontologia, secondo il quale il medico deve adoperarsi affinché all’anziano siano garantite qualità e dignità di vita, ponendo particolare attenzione alla tutela dei diritti degli assistiti non autosufficienti, qualora vi sia incapacità manifesta di intendere e volere ancorchè non legalmente dichiarata.

Conclusioni

Se mettiamo in correlazione tale norma deontologica con il principio fondamentale fissato dall’art. 32 della nostra Costituzione, dal quale discende il dovere del medico di tutelare la salute del paziente senza distinzione di età, condizione sociale ecc., possiamo arrivare a una soluzione soddisfacente del problema, sia dal punto di vista legale sia da quello strettamente medico.
Ritengo infatti che il dovere del medico di provvedere adeguatamente, in ogni circostanza, a curare la salute del paziente affidato alle sue cure renda legittimo l’intervento terapeutico, che il medico ritiene necessario per affrontare una determinata patologia dell’anziano inca.pace, anche a prescindere da un previo consenso del malato: consenso che il malato stesso per ragioni naturali non è in grado di esprimere.
L’intervento terapeutico del medico anche effettuato senza il consenso, è comunque legittimato a mio parere dal fatto che il medico ha adempiuto al suo dovere di cura nei confronti della persona a lui affidata.
Ovviamente, in via di prassi, è sempre buona regola per il medico, nel quadro di una necessaria alleanza terapeutica con il malato, affrontare il problema con i famigliari che concretamente assistono l’anziano incapace, per garantire al meglio l’interesse del malato stesso.
Per identiche ragioni di ragionevolezza, qualora l’effettuazione della terapia o degli accer.tamenti diagnostici ritenuti necessari dal medico curante siano invece in qualche modo contra-stati dai famigliari dell’anziano incapace, e non vi sia possibilità di risolvere consensualmente tale contrasto, il medico potrà e dovrà investire della questione il tribunale competente affinché questi provveda alla nomina di un legale rappresentante dell’anziano incapace in modo che il medico possa avere un riferimento certo di persona da informare e dalla quale ottenere il consenso all’iniziativa terapeutica.

 

Maurizio Laudi

Procuratore della Repubblica Aggiunto
presso il Tribunale Ordinario di Torino

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