Invecchiamento della popolazione: solo un problema demografico?

E’ noto che le Nazioni “ricche” diventano sempre più vecchie. L‘indice di natalità è ormai vicino al’1,0%, lontanissimo da quel 3,5-4,0% degli inizi del secolo scorso, in grado di rimpiazzare le classi operative. Nascono sempre meno bambini, ma quasi tutti raggiungono l’età adulta e la vecchiaia. Per la prima  volta dalla preistoria a oggi, gli ultrasessantenni saranno in numero superiore ai soggetti d’età 0-14 anni.

E’ noto che le Nazioni “ricche” diventano sempre più vecchie. L‘indice di natalità è ormai vicino al’1,0%, lontanissimo da quel 3,5-4,0% degli inizi del secolo scorso, in grado di rimpiazzare le classi operative. Nascono sempre meno bambini, ma quasi tutti raggiungono l’età adulta e la vecchiaia. Per la prima  volta dalla preistoria a oggi, gli ultrasessantenni saranno in numero superiore ai soggetti d’età 0-14 anni. La fascia della terza età diventa sempre più  larga e alla sua destra stanno avanzando sempre più i soggetti della quarta età. I centenari tra meno di quarant’anni, in Italia, saranno, secondo le previsioni statistiche, 250.000, di cui il 75% donne.

Sono note e, purtroppo non sempre risolte le conseguenze e le ricadute secondarie al processo d’invecchiamento: la sanità langue, sommersa dalle carenti disponibilità economiche, l’assistenza domiciliare, i cui costi sono relativamente contenuti, è concretamente inesistente, i tempi di attesa  per un ricovero di un anziano in RSA diventano sempre più lunghi e, poi, le politiche nazionali inseguono economie bancarie, che  poco hanno a che fare con il benessere e la qualità di vita della popolazione.

Alla constatazione di tutto questo, si pone una domanda:  l’invecchiamento della popolazione è qualcosa relegato soltanto agli studi dei demografi, degli statisti, degli economisti e dei gerontologi o deve, per contro essere inserito in un abito culturale più ampio, più umano, che privilegi l’esistenza, la relazione, il capitale sociale, nonché l’ansia, la depressione e non solo la salute vista esclusivamente da un punto di vista medico?

Un errore, perché di tale si tratta, discende dal fatto che la statistica, spesso confonde, in una curva di Gauss, la media con la norma e ciò dà lo spunto agli amministratori della cosa pubblica di non considerare l’enorme differenza esistente tra “media”, “norma” e “normalità”. La conseguenza di tale confusione  metodologica si traduce in ultima analisi nella mancata attuazione  di una politica realistica  per attuare un’efficiente rete dei servizi per  gli anziani abili o fragili.

E’ pur vero che la popolazione anziana, oggi, appare più visibile, più attiva e più indipendente rispetto al passato.

Gli anziani vivono oggi più a lungo e anche, per la maggior parte, in buona salute. Ma, all’aumento percentuale e assoluto del numero di anziani, corrisponde, nel contempo, da parte della società l’esclusione o l’ignoranza del problema degli abusi, dello sfruttamento e della trascuratezza dei loro diritti civili e umani.

I diritti inalienabili di un essere umano discendono direttamente dalla  tesi kantiana che questi non è mai una merce, non può essere manipolato, non è mai mezzo per qualcos’altro, ma è sempre fine a se stesso. Tuttavia Kant  sosteneva che  la dignità umana e la capacità morale fossero sostanzialmente separate dal mondo reale. La filosofa american Martha Nussbaum contraddice tale asserzione, dicendo che la tesi di Kant “ignora il fatto che la nostra  dignità è quella propria di una particolare specie di animali; è una dignità che non potrebbe essere posseduta da un  essere che non fosse mortale e vulnerabile “. La tesi kantiana ignora pertanto il fatto che le malattie e l’età avanzata possono ostacolare le funzioni morali e razionali, analogamente a come  ostacolano l’abilità e il movimento. Alcuni statisti e socio filosofi illuminati, fra i quali ricordiamo John Rawls, sulla base esclusivamente di una cultura economicistica e ragionieristica, pur riconoscendo che le cure e l’assistenza ai disabili sono una urgente questione pratica, ritengono tuttavia che sia più opportuno rimandarla a una legge successiva, quando i bilanci statali e le politiche conseguenti fossero state pianificati.

Un’impostazione di tal fatta porterebbe pesanti conseguenze negative in un’armonica organizzazione dell’assistenza sanitaria;  rinviare, infatti, o, addirittura, non prevedere e non attuare le cure per gli anziani e per i disabili è non solo un’incapacità previsionale, ma anche una vera ingiustizia e un abuso nei loro confronti.  La mancata valutazione dell’invecchiamento della popolazione da parte delle autorità competenti  e il non inserimento delle problematiche  a esso correlate, determina una pessima pianificazione dell’assistenza sanitaria con ricadute nell’immediato futuro di varia natura, economiche, sociali ed esistenziali. E allora, l’invecchiamento della popolazione non può e non deve essere demandato solo ai grafici e ai dati Istat, peraltro non solo necessari e importanti ma, sotto molti aspetti insostituibili.

Nella vita  di tutti noi, ma in particolare in quella del vecchio, molte altre sono le cose che bisogna mettere nel piatto e considerare. E la vita, nella sua interezza, che bisogna valutare. Claudia Mancini scrive “malattia, vecchiaia, morte sono parte naturale della vita, orizzonte della vita di ogni uomo. Nell’epoca contemporanea, però, questi fenomeni hanno cessato di essere  significativi ed evidenti, per diventare schegge impazzite di un male radicale che rivendica prepotente una giustificazione”. D‘altra parte, oggi, la morte da evento squisitamente biologico, quale finitudine dell’esistenza umana, è diventata sempre più un evento giuridico, momento della decisione.

I media hanno scritto fiumi di inchiostro sui casi Welby e Ogliaro, ma scarsa o nessuna attenzione, hanno  dato, e la procedura è quasi di prammatica, a evidenti episodi che riguardavano anziani. In particolare, poco si è insistito sul fatto che il testamento biologico, l’eutanasia non sono procedure limitate esclusivamente ai giovani, ma riguardano tutti noi nel complesso di esseri viventi, al di là del genere o dell’età anagrafica.

Esprimere, quando ancora si ha una volontà cosciente, la decisione relativa ai comportamenti sanitari, che potrebbero essere presi nella parte finale della propria vita, viene spesso poco considerata  quando il protagonista è un paziente anziano. In tale situazione, quanti sono i medici che nella loro relazione con un paziente anziano attuano, come acutamente ha sottolineato William F. May,  un modello socio-psicologico, fondato sia sul contract , freddo e formale, che sul covenant, cioè l’alleanza terapeutica, atto caldo e coinvolgente?

Allora, attualmente, di quale antropologia gode la vecchiaia nella nostra società? E’ solo un fastidioso grattacapo? Qualcosa da valorizzare o, invece, da nascondere e ignorare? E’ un problema difficile da affrontare e da risolvere e pertanto è preferibile accantonarlo per rivederlo in tempi migliori? O, invece, la vecchiaia può essere considerata un’opportunità da perseguire e da non perdere?

Se ormai un quarto e, fra non molto, un terzo di tutta la popolazione mondiale sarà rappresentato da anziani (l’invecchiamento sta riguardando sempre più anche le popolazioni del cosiddetto terzo o quarto mondo, ignorare i diritti degli anziani significa non capire “l’evoluzione della specie”. Un’ultima osservazione ci sembra  necessaria.

Gli statistici insegnano che l’invecchiamento della popolazione si traduce anche, e sempre più, in una sua “femminilizzazione”. Se nel 2050 i centenari saranno 250.000, di cui bel 170.000 di genere femminile, è indispensabile considerare e mettere in atto accorgimenti utili per combattere la solitudine della donna, che sarà uno dei problemi esistenziali più gravi del XXI secolo.

 

Carmine Macchione
Direttore Scientifico ACSA Magazine,
già professore di Geriatria e Gerontologia dell’Università di Torino

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