Le nuove linee guida europee (ESH/ESC 2018) per la diagnosi e la terapia dell’ipertensione arteriosa

Prof. Giuseppe Pannarale

Prof. Giuseppe Pannarale

Professore Associato di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare,
Dipartimento di Scienze Internistiche, Anestesiologiche e Cardiovascolari. Sapienza Università di Roma.
Presidente della Sezione Regionale Lazio della Società Italiana di Cardiologia

 

Nel corso degli anni, le linee guida europee dell’ipertensione (European Society of Hypertension/European Society of Cardiology, ESH/ESC) hanno sempre raccomandato alternativamente, a seconda delle evidenze cliniche disponibili al momento della pubblicazione, o un approccio aggressivo al trattamento (lower is better) o un approccio cauto consigliato da criteri di safety (lower with caution).

Le ultime linee guida (giugno 2018) sono caratterizzate dal ritorno al lower is better, un ritorno che peraltro segna l’introduzione definitiva della combinazione di 2-3 farmaci antipertensivi a dose fissa nella stessa compressa come regime terapeutico di scelta nella maggior parte dei pazienti.

Se infatti la classificazione delle categorie di pressione normale, pressione normale alta e ipertensione, incluso il limite classico di 140/90 mmHg, è rimasta identica rispetto alle precedenti edizioni delle linee guida, sono cambiati gli obiettivi del trattamento antipertensivo. Attualmente tutti i pazienti ipertesi con meno di 65 anni, indipendentemente dalla presenza di diabete mellito o patologia coronarica o cerebrovascolare concomitante/complicante lo stato ipertensivo, devono ridurre la loro pressione arteriosa (PA) a meno di 130/80 mmHg. Per i pazienti nefropatici e/o con più di 65 anni sono raccomandati valori di PA sistolica inferiore a 140 mmHg, mentre la PA diastolica deve sempre essere ridotta sotto gli 80 mmHg.

È ovvio che per ottenere questi ambiziosi risultati nella maggior parte della popolazione ipertesa con o senza co-morbilità sia necessaria una terapia farmacologica di 2 o 3 farmaci antipertensivi (ACE-inibitore o sartano, calcioantagonista diidropiridinico, diuretico tiazidico o tiazidoide) vantaggiosamente combinati a diverse dosi fisse, disponibili nella medesima compressa, al fine di ottenere la massima adesione possibile di pazienti (e … medici!) al trattamento.

I pazienti la cui PA non sia stata normalizzata da una tripla combinazione al massimo dosaggio sono considerati resistenti alla terapia e necessitano di un approfondimento diagnostico volto ad identificare una pseudo-resistenza (da accertare con monitoraggio pressorio delle 24 ore) o cause secondarie dell’ipertensione arteriosa.

Eventualmente tali pazienti dovranno aggiungere alla tripla combinazione lo spironolattone e/o alfabloccanti o betabloccanti.

Questi ultimi non vengono considerati più farmaci di prima linea nell’ipertensione non complicata, mentre sono raccomandati negli ipertesi con malattia coronarica, insufficienza cardiaca o aritmie.

Se quelle sopra illustrate sono sicuramente le maggiori novità delle linee guida europee dell’ipertensione del 2018, non bisogna trascurare, per quanto riguarda la diagnosi dello stato ipertensivo, la raccomandazione di confermare la diagnosi clinica con misurazioni da eseguire al di fuori dell’ambito clinico/ospedaliero con misurazioni domiciliari (Home Blood Pressure Monitoring, HBPM) o monitoraggio pressorio delle 24 ore (Ambulatory Blood Pressure Monitoring, ABPM).

L’HBPM viene quindi ufficialmente “consacrato” ad esame diagnostico dell’ipertensione a tutti gli effetti. Come tale va prescritto dal medico e ne deve essere conosciuta con precisione la modalità di esecuzione.

Le automisurazioni realmente utili nella pratica clinica NON sono quelle occasionali ma quelle regolarmente eseguite al mattino prima dell’assunzione dei farmaci e la sera prima di cena.

Naturalmente va ricordato che nelle automisurazioni, così come nell’ABPM, il limite di riferimento della normalità corrispondente a 140/90 mmHg è 135/85 mmHg tanto per la PA domiciliare quanto per la PA media monitorata del periodo di veglia.

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