Malattie psicosomatiche e somatopsichiche nel soggetto anziano

Dalla mente al corpo e dal corpo alla mente

Il doppio binario della malattia e della salute

Introduzione

Che il cervello potesse in vario modo influenzare il corpo e/o ne fosse la spia per talune forme patologiche è nozione da sempre conosciuta e alcuni reperti rupestri mostrano il corpo umano sano o deformato da fiamme interne quasi a dimostrazione che paura, terrore o altro potessero consumare il corpo interiormente. In questa esposizione volutamente non faremo riferimento alla cultura orientale dove i rapporti tra mente e corpo sono molto più intimi di quanto non avvenga in occidente. La cultura occidentale, infatti, è stata fin dai suoi albori influenzata dalla filosofia della Grecia antica che considerava il corpo maschile l’emblema della perfezione e oggi ne abbiamo contezza ammirando i bronzi di Riace o le statue di Fidia.

Platone affermò che il corpo è sema, cioè segno, tomba dell’anima e questa condanna, ereditata poi dal Cristianesimo, influenzò a lungo la storia del pensiero occidentale. «Dicono alcuni che il corpo è séma (segno, tomba) dell’anima, quasi che ella vi sia sepolta durante la vita presente; e ancora, per il fatto che con esso l’anima semaínei (significa) ciò chesemaíne (intende esprimere), anche per questo è stato detto giustamente séma. Però mi sembra assai più probabile che questo nome lo abbiano posto i seguaci di Orfeo; come a dire che l’anima paghi la pena delle colpe che deve pagare, e perciò abbia intorno a sé, affinché sózetai (si conservi, si salvi, sia custodita), questa cintura corporea a immagine di una prigione; e così il corpo, come il nome stesso significa, è séma (custodia) dell’anima finché essa non abbia pagato compiutamente ciò che deve pagare. Né c’è bisogno mutar niente, neppure una lettera». Il filosofo greco considera pertanto l’anima come qualcosa d’incorporeo completamente separato dal corpo e rafforza il suo pensiero affermando che il corpo è un ostacolo e un peso per l’anima, rappresentandone una “tomba” o un “carcere”.

Nel Fedro Platone scrive che la vita è un esilio, una situazione incompleta e transeunte, in quanto l’anima non sa “ritrovare le ali” per restare autonoma e liberarsi da questa prigione, perché deve scontare un periodo di espiazione e isolamento attraverso il dolore e l’errore. Per Aristotele a differenza di Platone la mente sta nel cuore. Per Paolo di Tarso e per tutto il pensiero del Cristianesimo nel corpo esiste una dicotomia tra “corpo sacro”, inteso come corpo di Cristo e “corpo profano”, epicureo, dedito ai piaceri del mondo che, in ultima analisi, distoglie l’anima dall’aspirazione alla salvezza. Il Medio Evo fece propria questa concezione paolina.

Per Hobbes la vita non è altro che un movimento di membra, mentre bisogna arrivare a Cartesio per trovare le differenze e le interazioni tra Res cogitans e res extensa. Nel periodo illuministico La Mettrie definì il corpo come una organisation méchanique dove tutto funziona come un orologio e affermò la materialità dell’anima.

Il termine «psicosomatico» fu coniato nel 1818 da Heinroth J. C. Mentre è solo dal 1919 che con Deutsch F. si parla di «medicina psicosomatica». Il clinico tedesco fondò una clinica per la cura delle nevrosi. Successivamente nel 1922 Jacobi K. introdusse l’espressione «somatopsichico». Con Freud poi entra prepotentemente in campo medico la psicoanalisi e con essa tutti gli studi sempre più approfonditi sui rapporti fra corpo e mente e fra mente e corpo.

Le malattie psicosomatiche e somatopsichiche nell’anziano

Fabiola Fortuna ne “Il fenomeno psicosomatico: nuove ipotesi di lavoro” scrisse che «è doveroso affermare che nel riferirsi al concetto della psicosomatica si va spesso incontro a una confusione, giacché il problema della divisione mente corpo è sempre in agguato e, inoltre, riferendosi a questa espressione si può intendere sia il concetto di medicina olistica, tipica della geriatria, sia la questione dell’origine psichica delle malattie». D’altra parte, il tentativo di Lachman di tradurre in chiave comportamentista, cioè in termini di sintomo appreso, l’analisi dei disturbi psicosomatici acquista un valore tutto particolare e un interesse attuale. Da un lato sceglie un argomento mai affrontato finora in modo organico e sistematico; dall’altro si inserisce in un discorso che, perse le originarie caratteristiche di asprezza della behavoir therapy radicale, sta acquistando una visione più ampia e duttile della problematica psicopatologica, ad esempio la behavoir modification.

Esiste nell’ambito della psicosomatica una grande confusione, dove con estrema superficialità, talora, vengono considerate “psicosomatiche” patologie che tali non sono e, nel converso, alcune patologie che rientrano nella psicosomaticità non vengono riconosciute come tali. Nello stesso tempo, in Geriatria la diagnosi “secca” ha scarsa importanza, in quanto è molto più realistico e utile privilegiare il malato piuttosto che la malattia. Sigmund Bauman, il filosofo della società liquida, scrive «sembra di vivere in un universo di Escher, dove nessuno, in nessun punto è in grado di distinguere una strada che porta in cima, da una china discendente. Le identità sono vestiti da indossare e mostrare, non da mettere da parte e tenere al sicuro». A questa confusione cercò di dare chiarezza il DSM-IV TR che definì le malattie psicosomatiche come patologie caratterizzate dalla «presenza di sintomi fisici che fanno pensare a una condizione medica generale e che non sono invece giustificati da una condizione medica generale, dagli effetti diretti da una sostanza o da un altro disturbo mentale» e classificò i disturbi somatoformi in disturbo di somatizzazione in disturbo somatoforme indifferenziato, in disturbo di conversione, disturbo algico, disturbo associato con Fattori Psicologici o associato con Fattori Psicologici e con una Condizione medica generale, ipocondria, disturbo di Dismorfismo corporeo, disturbo somatoforme non altrimenti specificato. Il termine Disturbi somatoformi presentato dal DSM-IV però non era molto chiaro e creava confusione per la diagnosi, specie per i medici non psichiatri per i quali era difficile da capire e da usare, per cui recentemente nel 2013 è stato sostituito da una diversa interpretazione nel nuovo DSM-5. Intanto, i disturbi somatoformi hanno come caratteristica comune la rilevanza di sintomi somatici associati a disagio e compromissioni significative. Attualmente la diagnosi, ridefinita in base ad una riorganizzazione del disturbo somatoforme contenuto del DSM-IV, è finalmente di maggiore utilità per i medici generici e per gli specialisti non psichiatrici. Una caratteristica distintiva di molti individui con disturbi da sintomi somatici non sono i sintomi somatici in quanto tali, ma piuttosto il modo in cui gli individui li presentano e li interpretano, situazione questa di estrema rilevanza nella popolazione anziana.

La nuova classificazione del DSM-5 è più precisa e definisce tali sintomi con la dizione “Disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati», distinti in Disturbo da sintomi somatici, Disturbo da ansia di malattia, Disturbo di conversione (disturbi da sintomi neurologici funzionali), Fattori psicologici che influenzano altre condizioni mediche, Disturbo fittizio, Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati con altra specificazione, Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati senza specificazione. Il nuovo manuale di statistica risulta più aderente alla realtà, tant’è che circa il 75% dei soggetti precedentemente diagnosticati come ipocondriaci rientra nella diagnosi di disturbo da sintomi somatici. In passato, forse a causa dell’eccessiva attenzione data alla mancanza di una spiegazione medica, gli individui consideravano la diagnosi di DP dispregiativa, avvilente, come se i loro sintomi fisici non fossero «reali» specie se il disagio non si tramutava in sintomo reale. Una caratteristica dei soggetti somatizzanti è la presenza di una notevole co-morbilità, situazione questa presente nella maggior parte degli anziani. Le caratteristiche peculiari per porre diagnosi di disturbo da sintomi somatici sono le seguenti:

  • Tipicamente gli individui con disturbo da sintomi somatici presentano contemporaneamente molteplici sintomi somatici, che procurano disagio o portano ad alterazioni significative della vita quotidiana.
  • Tali sintomi possono essere specifici (p.e. dolore localizzato) o relativamente aspecifici (p.e. spossatezza). Sintomi somatici che non hanno una spiegazione medica evidente non sono sufficienti per porre tale diagnosi. La sofferenza dell’individuo comunque è autentica, che sia spiegabile o non sia spiegabile dal punto di vista medico.
  • Gli individui con disturbo da sintomi somatici tendono ad avere livelli molto elevati di preoccupazione riguardante la malattia. Essi valutano i propri sintomi fisici come ingiustificatamente minacciosi, dannosi, fastidiosi e spesso pensano il peggio della propria salute.
  • Vi è spesso un elevato utilizzo di cure mediche, che di rado allevia la preoccupazione dell’individuo.

 

Numerosi sono i fattori di rischio che possono innescare una condizione somatizzante: ad esempio, i fattori temperamentali, dove il tratto di personalità dell’affettività negativa (nevroticismo) è stato identificato come un fattore di rischio/correlazione indipendente o i fattori ambientali in cui il disturbo da sintomi somatici è più frequente in individui con scarsa scolarizzazione e basso status socio-economico e in quelli che ha recentemente sperimentato eventi di vita stressanti. Sintomi somatici persistenti (da più di sei mesi) sono associati a caratteristiche demografiche (sesso femminile, età avanzata), a una concomitante malattia organica cronica o a un disturbo psichiatrico (depressione, ansia, distimia, panico), a stress sociali (povertà, solitudine).

Da un punto di vista epidemiologico la prevalenza è ignota, certamentesuperiore (>1%) a quella del Disturbo da sintomi somatici del DSM-IV. Studi da metanalisi parlano di una prevalenza nella popolazione generale del 5-7%, che risulta maggiore nelle femmine. I dati epidemiologi hanno evidenziato anche che il 20% dei soggetti di età superiore a 60 anni sono ricoverati nei reparti di Geriatria per acuti per l’insorgenza di un dolore di tipo psicosomatico. Nell’ambito dei disturbi somatoformi degli anziani, è importante uscire da preconcetti e pregiudizi che omogeneizzano in modo piatto la popolazione e ricordare come scrive Hillman ne “La forza del carattere” che «le idee che abbiamo sulla vecchiaia hanno bisogno di essere sostituite e come il carattere guida l’invecchiamento, l’invecchiamento disvela il carattere». E’ noto che l’80% degli anziani ha almeno una malattia cronica; la maggior parte di essi ne ha tre o più e da ciò discende che mai come nella vecchiaia l’individuo si sente dolorosamente esposto alla malattia. In tali casi sorge sempre il dubbio di conoscere quanto la malattia è solo nel corpo e quanto questa deriva dalla mente. L’anziano vive spesso la sua quotidianità legato all’antico pregiudizio di «senectus ipsa morbus» e correla ogni percezione comportamentale fisica o psichica ad un disagio esistenziale. Nell’invecchiamento “normale”, “fisiologico” si riduce il margine di protezione ed aumenta la vulnerabilità agli agenti stressanti sia fisici che psico-sociali.

La Geriatria ha, nell’ambito della cura dell’anziano, fatto una rivoluzione copernicana, distaccandosi dal vecchio modello della Medicina interna, utilizzando la valutazione multidimensionale, che esplora non solo i problemi medici ma valuta anche la condizione psichica, sociale, cognitiva e il livello di cura più appropriato, finalizzandola alla definizione e alla pianificazione di misure assistenziali e di cura commisurati ai bisogni all’anziano e orientati al suo benessere e alla qualità di vita e attuando una “medicina di precisione”.

Gli anziani, in particolare, spesso affetti da pluripatologia cronica, invalidante hanno pensieri sproporzionati e persistenti circa la gravità dei propri sintomi, un livello piuttosto elevato di ansia per la salute o per i sintomi, un tempo ed energie eccessive dedicati a questi sintomi o a preoccupazioni riguardanti la salute, cui si associa spessa la paura della morte. Negli anziani l’ansia correlata alla salute spesso si concentra sulla perdita della memoria. La consapevolezza della cattiva salute diventa parte integrante della quotidianità poiché l’essere vecchi, nella nostra società, non sembra porre alternative. Nel dramma della malattia, l’anziano – che si sente ancora più debole, meno efficiente e di grande peso per la famiglia – si abbandona a sentimenti di esasperata solitudine e di isolamento che lo trascinano verso la più buia emarginazione. L’ansia, la depressione e l’insicurezza trovano nella ridotta efficienza fisica un terreno prolifico per lo sviluppo di disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati. Il disturbo da sintomi somatici è di solito sottostimato negli anziani, sia perché certi sintomi somatici (dolore, spossatezza) sono considerati secondari al normale invecchiamento, sia perché temere di essere ammalati è considerato “comprensibile” in individui più anziani che soffrono di una pluripatologia e fanno un maggior uso di farmaci rispetto alla popolazione più giovane.
Negli anziani con co-morbilità è comune un concomitante disturbo depressivo che può essere esaltato e aggravato dalla presenza di alcuni stressors emotivi cronici, quali povertà, vedovanza, solitudine, contrasti familiari, ridotta rete sociale, malattie croniche invalidanti, depressione, ansia, paura della morte. La disabilità rende il soggetto anziano scarsamente resiliente, per cui un evento sarà tanto più stressante quanto più l’individuo si percepirà inadeguato di fronteggiarlo. L’ansia, che trova nel senso di deterioramento fisico un terreno quanto mai prolifico per porre radici e svilupparsi, può condurre a forme di somatizzazione che fanno della malattia il motivo della debolezza e dell’insufficienza. La comparsa di una sintomatologia, conseguente al disagio, dovrebbe, anche se in maniera parziale, riuscire a scaricare l’ansia esistenziale dell’anziano proprio perché viene a mancare quel frustrante confronto tra la vecchiaia e la giovinezza dato che la malattia, si sa, è qualcosa che può capitare a chiunque.

Nell’analisi di questa dinamica psicologica così conflittuale, alcuni studiosi, ritrovano una chiave per poter affrontare il problema preventivo, terapeutico e riabilitativo dei sintomi psicosomatici presenti nell’anziano e aiutarlo quindi a guarire. Il dolore avvertito e espresso dall’anziano ipocondriaco non è un non dolore, un dolore fittizio, ma una vera, reale sofferenza emotiva, non riconosciuta come tale, spesso, dallo stesso anziano, che tristemente afferma è perché son vecchio. Disturbi psicosomatici molto frequenti nell’anziano sono le mioartropatie, come i dolori del rachide cervicale e lombosacrale, le cefalee muscolotensive, i crampi muscolari, il prurito, le malattie dermatologiche. La pelle, accanto alla funzione protettiva, termostatica, tattile, dolorifica, immunitaria ed escretoria, svolge anche la funzione di espressione delle emozioni: la psoriasi, l’acne, l’eccessiva sudorazione, la dermatite atopica, l’orticaria sono alcuni degli esempi dell’interessamento psicosomatico dell’apparato cutaneo. Disturbi psicosomatici hanno anche un’origine da distress sociale, economico e comportamentale che sono la causa di molteplici fattori di disadattamento che possono provocare una “depressione mascherata”, per cui i vissuti depressivi vengono somatizzati.

La diagnosi di disturbi psicosomatici è spesso molto insoddisfacente ed inadeguata per:

  • Inconclusiva o difettosa valutazione dei sintomi riferiti.
  • Negligenza o omissione da parte del medico nel valutarli. Non li prende in seria considerazione, in quanto li ritiene “normale conseguenza dell’invecchiamento”.
  • Deliberata disattenzione da parte del caregiver che mentono sulle condizioni di salute delle persone di cui si occupano, unicamente per non assumersene la responsabilità. Secondo il DSM-5 «caregiver che, dopo l’osservazione, l’analisi delle cartelle cliniche e/o le testimonianze di altri, vengono scoperte a mentire più di quanto sarebbe necessario per la propria immediata protezione, i sintomi accusati dall’anziano vengono diagnosticati con disturbo fittizio provocato ad altri».

 

Conclusione

In conclusione, di fronte ad un soggetto anziano che riferisce disagio o dolore somatico prima ancora di esprimere un giudizio superficiale negativo è indispensabile empaticamente conoscerne il vissuto in modo da correlare quel disturbo o ad una effettiva malattia organica o all’influenza dello stress e di altri fattori sociali sulla etiologia, sulla persistenza e la gravità di quel sintomo.

Carmine Macchione

Direttore Scientifico ACSA Magazine,
già professore di Geriatria e Gerontologia dell’Università di Torino

Potrebbero interessarti anche...

×