Nuovi biomarcatori nell’approccio diagnostico dello scompenso cardiaco in Dipartimento di Emergenza

Lo scompenso cardiaco acuto rappresenta un problema rilevante nel Dipartimento D’Emergenza a causa della sua elevata mortalità, morbilità e necessità di ospedalizzazione. Solamente un approccio terapeutico rapido, appropriato ed efficace e una corretta stratificazione del rischio sono in grado di ridurre la mortalità di questi pazienti e i giorni di degenza ospedaliera.

 

La valutazione anamnestica e clinica globale, sempre indispensabili,insieme agli esami strumentali e di laboratorio di routine effettuati all’arrivo del paziente in Pronto Soccorso spesso possono non risultare sufficienti per una diagnosi completa e corretta del paziente in tempi brevissimi. Diversi studi hanno dimostrato che alcuni nuovi biomarcatori in aggiunta al giudizio clinico possono invece fornire un rapido valore diagnostico e prognostico addizionale in pazienti con insufficienza cardiaca acuta.

Questo articolo vuole affrontare in particolare l’utilità, nell’approccio diagnostico e nella gestione dei pazienti con insufficienza cardiaca acuta, dei seguenti biomarcatori: BNP, NT-proBNP, NGAL, troponine, PCT, ADM, MRproADM, copeptina, GAL3 ed sST2 [1]. 


 

Lo scompenso cardiaco acuto colpisce milioni di persone in tutto il mondo e negli Stati Uniti comporta una riammissione ospedaliera del 29,6% e un tasso di mortalità a breve termine dell’8,6% [2]. I registri sull’insufficienza cardiaca acuta mostrano che i pazienti affetti da questa patologia hanno solitamente un’età maggiore di 65 anni, multiple comorbilità e scarsa aderenza alla terapia farmacologica. Con una popolazione che si stima possa divenire, nei prossimi due decenni, il doppio per il crescente numero di individui anziani, una gestione e un trattamento efficace dello scompenso cardiaco acuto già nel Dipartimento d’Emergenza, dove il paziente sempre si riferisce in caso di comparsa dei sintomi, è indispensabile per migliorare la prognosi di questi pazienti e ridurre la crescita dei costi dell’assistenza sanitaria.

La maggior parte dei pazienti che giunge in Pronto Soccorso per insufficienza cardiaca acuta presenta dispnea e non sempre l’esame clinico ci permette di distinguere tra un peggioramento dello scompenso cardiaco e una dispnea non cardiaca [3]. Un approccio multimarkers consente un miglior orientamento circa l’eziologia della dispnea e, di conseguenza, verso una corretta diagnosi e un processo decisionale terapeutico adeguato.


Peptidi natriuretici

I peptidi natriuretici cardiaci costituiscono una complessa famiglia di ormoni peptidici prodotti e secreti dal cuore in risposta a un maggior sovraccarico di pressione e volume dei ventricoli. Gli ormoni attivi, ANP (peptide natriuretico atriale) e BNP (peptide natriuretico di tipo B), sono prodotti mediante il taglio enzimatico di un peptide più grande (rispettivamente proANP e pro-BNP) che dà origine a una porzione COOH-terminale che è l’ormone vero proprio (ANP e BNP) e una parte N-terminale che include i due peptidi inattivi, cioè i peptidi NT-proANP e NT-proBNP.
La determinazione dei livelli ematici di BNP ed NT-proBNP in Pronto Soccorso in aggiunta all’esame obiettivo e agli esami clinico-strumentali di routine si è dimostrata di indiscutibile ausilio nella diagnosi rapida di dispnea di origine cardiogena tanto da essere inserita a pieno titolo nelle linee guida nella diagnosi e nel trattamento dello scompenso cardiaco acuto con livello di evidenza di tipo A [4-7]. L’utilizzo del BNP in urgenza, ottenibile anche con sistemi Point of care in pochi minuti, fornisce inoltre importanti informazioni diagnostiche e prognostiche [6,7] e soprattutto puó aiutare a monitorare la terapia dello scompenso cardiaco. Infatti essendo i suoi livelli indicativi dello stato del carico di volume e di pressione del cuore, un decremento dei valori di BNP rispetto al suo valore iniziale può rappresentare un indice di miglioramento e dell’efficacia della terapia attuata [8].
La diagnosi di insufficienza cardiaca è ritenuta improbabile quando il BNP è inferiore a 100 pg/ml. In questo caso devono essere indagate cause alternative di dispnea. Se il BNP invece presenta livelli superiori a 400 pg/ml l’insufficienza cardiaca deve essere considerata quale diagnosi possibile. Per i pazienti con livelli ematici di BNP compresi tra 100 e 400 pg/ml (zona grigia) è importante valutare sia l’insufficienza cardiaca che altre cause di dispnea insieme al giudizio clinico. Per quanto riguarda l’NT-proBNP il valore di 300 pg/ml esclude la diagnosi di scompenso cardiaco. I pazienti con livelli di NT-proBNP >450 (età inferiore ai 50 anni), >900 pg/ml (età compresa tra 50-75 anni), >18.000 pg/ml (età >75 anni) hanno tutti una elevata probabilità di diagnosi di insufficienza cardiaca acuta [9-12].
L’interpretazione dei livelli dei peptidi natriuretici nei pazienti con insufficienza cardiaca può essere inficiata dalla presenza di: obesità, insufficienza renale, fibrillazione atriale e edema polmonare “flash”.[1]

 

NGAL (Lipocalina umana Associata alla Gelatinasi dei Neutrofili)

L’NGAL è una proteina di 25 kDa covalentemente legata alla gelatinasi dei neutrofili ed è espressa in modo fisiologico da queste cellule. Fa parte dell’immunità innata ed è sintetizzata in caso di presenza di patogeni svolgendo il ruolo di legare il ferro sottraendolo ai batteri e inibendone la crescita [13]. È legata anche alla superficie delle cellule epiteliali dove però la sua funzione non è ancora chiara. In condizioni fisiologiche questa proteina è espressa a bassissimi livelli da diversi organi inclusi reni, stomaco, polmoni, colon e apparato urinario, e aumenta significativamente in corso di danno d’organo [14]. Pazienti con danno renale acuto dimostrano di avere livelli di NGAL aumentati di almeno 10 volte nel plasma quando comparati a quelli dei soggetti sani e la biopsia renale effettuata sui pazienti con danno renale acuto ha dimostrato nel 50% dei casi un accumulo di NGAL nei tubuli corticali renali [15]. Uno studio recente di Viau e coll. non solo ha confermato la significativa sovraregolazione di NGAL dopo danno renale acuto, ma ha dimostrato che ne è un effettore diretto. Da questo lavoro emerge infatti che NGAL ha un ruolo funzionale come mediatore a valle della cascata di attivazione del recettore EGFR (Epidermal Growth Factor Receptor) e della via di segnale di HIF-1a, (Hipoxia Inducible Factor-1 Alpha) che promuovono entrambi la proliferazione e la resistenza all’apoptosi nelle cellule del tubulo renale giocando un importante ruolo nella fibrogenesi renale. Quindi la lipocalina non solo sembra essere un promettente biomarcatore di insufficienza renale acuta, ma riflette il rimodellamento strutturale dei reni e la progressione dell’insufficienza renale cronica [16]. 
È ormai noto che la creatinina impiega dalle 48 alle 72 ore per accumularsi nel sangue e raggiungere valori diagnostici di insufficienza renale acuta fornendo quindi un’informazione diagnostica tardiva e quindi non utile per il medico di Pronto Soccorso e ritardando sia la diagnosi che l’approccio terapeutico al paziente [17]. Al contrario, l’NGAL rappresenta un biomarcatore precoce di danno renale acuto [17]. 
La valutazione congiunta di NGAL e BNP in pazienti con insufficienza cardiaca potrebbe essere di grande aiuto nell’identificare la presenza di danno renale acuto consigliando interventi terapeutici mirati non solo a migliorare la funzione cardiaca, ma anche a tenere conto della compromissione renale.

 

Procalcitonina (PCT)

La PCT, membro della famiglia delle proteine CAPA (calcitonin gene-related peptide-amylin-procalcitoninadrenomedullin family), è una proteina di 116 amminoacidi (AA) con PM di 14 kDa, precursore del peptide calcitonina. La calcitonina matura è un peptide di 32 AA con azione regolatoria sui livelli plasmatici di calcio ritenuta, in passato, prodotta esclusivamente dalle cellule C neuroendocrine della tiroide. Il gene CALC-1, che codifica per la PCT, si trova sul cromosoma 11 e, in condizioni fisiologiche, la sua espressione è soppressa e ristretta alle cellule neuroendocrine della tiroide; tutta la PCT prodotta è immagazzinata nell’apparato di Golgi e di conseguenza in circolo è presente solo in tracce. Nel corso di stati infettivi sistemici, le concentrazioni plasmatiche di PCT aumentano migliaia di volte, anche in pazienti tiroidectomizzati, come conseguenza della sovraespressione del gene CALC-1 [18-20].  I pazienti con scompenso cardiaco acuto presentato spesso infezioni batteriche polmonari come la polmonite che spesso è difficile rilevare con i test convenzionali come gli esami ematochimici e la radiografia del torace [18-20]. 
Maisel et al [21] hanno dimostrato che la procalcitonina è utile nell’identificare la polmonite in pazienti che si presentano nel Dipartimento D’Emergenza con scompenso cardiaco acuto. Le concentrazioni mediane di procalcitonina in pazienti con polmonite erano 0,18 ng/ml e 0,07 pg/ml per quelli senza polmonite. Lo studio ha anche suggerito che pazienti con livelli di procalcitonina > 21 ng/ml l’uso dell’antibiotico aumentava la sopravvivenza suggerendo la possibilità che la procalcitonina guidi l’uso dell’antibiotico nei pazienti con insufficienza cardiaca acuta.

 

Copeptina

È una glicoproteina acida di 39 amminoacidi che comprende la porzione C terminale del precursore pre-pro-vasopressina dal quale deriva anche il peptide arginina-vasopressina (AVP) insieme al quale è rilasciato nel torrente circolatorio. È sintetizzata nei neuroni magno-cellulari dell’ipotalamo e successivamente secreta a partire dall’ipofisi posteriore in risposta a variazioni osmotiche ed emodinamiche. Diversi studi hanno dimostrato che la misurazione nel circolo dell’AVP risulta critica a causa della sua rapida eliminazione [22,23]. La determinazione della Copeptina, grazie alla sua stabilità plasmatica, risulta più agevole. La funzione principale dell’AVP è quella di mantenere o ripristinare l’equilibrio emodinamico riassorbendo acqua dai tubuli renali in risposta a cambiamenti di osmolarità o volume del plasma [24,25]. L’utilità prognostica della copeptina in pazienti affetti da scompenso cardiaco acuto è stata indagata in uno studio su larga scala condotto da Maisel et al. che dimostrava un aumento del rischio di mortalità a 90 giorni, di accessi nel Dipartimento D’Emergenza e riospedalizzazione in pazienti con elevati livelli di copeptina. Gli effetti della copeptina sono mediati dai recettori V1 e V2 che determinano ipertrofia ventricolare e rimodellamento miocardico [23-24]. L’analisi univariata con copeptina e NT-proBNP, erano predittori significativi di mortalità con OR di 2,87 per copeptina e OR di 3,46 per NT-proBNP (p=0,001). L’analisi multivariata tra sodiemia, livelli plasmatici di copeptina e NT-proBNP erano predittori significativi di mortalità (copeptina: p= 0,007, OR 2.115; sodiemia: p=0,001, OR 2.739; NT-proBNP: p=0,003, OR 2.383).
Pertanto, livelli di copeptina elevati nei pazienti con scompenso cardiaco acuto rappresentano un segno di esito sfavorevole, soprattutto in relazione all’iponatremia e adeguate misure devono essere adottate per prevenire la progressione dello scompenso cardiaco [25].

 

Galectina-3

Galectina-3 è un membro della famiglia dei b-galattosidi ed è codificata da un singolo gene, LGALS3, localizzato sul cromosoma 14. Essa è espressa nel nucleo, nei compartimenti intracellulari e nello spazio extracellulare. Gli studi hanno anche dimostrato che l’espressione di galectina-3 è implicata in pazienti con insufficienza cardiaca alla proliferazione dei miofibroblasti con conseguente fibrogenesi e rimodellamento ventricolare [26]. Livelli elevati di galectina-3 sono significativamente associati a più elevato rischio di mortalità sia nei pazienti con insufficienza cardiaca acuta sia nelle popolazioni con insufficienza cardiaca cronica.  Kimmenade et al [27] hanno dimostrato che in 599 pazienti giunti in Pronto Soccorso con dispnea acuta, i livelli di galectina-3 risultava predittore indipendente di mortalità a 60 giorni (OR 10,3, P=0,01).
Sono in corso alcuni studi che hanno l’obiettivo di esplorare l’utilità della galectina-3 nei pazienti con scompenso cardiaco. Uno degli obiettivi più stimolanti è indagare il ruolo di questo biomarcatore nella progressione dell’insufficienza cardiaca e come potenziale mira di trattamento al fine di arrestarne la progressione.

 

Troponine

I cardiomiociti danneggiati, in modo reversibile o non, rilasciano le proteine intracellulari, meccanismo che costituisce la premessa per una valutazione quantitativa del danno cardiaco mediante il dosaggio di queste molecole circolanti. Le troponine cardiache I e T, proteine che regolano l’interazione fra actina e miosina durante la contrazione muscolare, possono essere misurate nel sangue in seguito a necrosi miocardica [28,29]. Una volta liberate nel circolo le troponine cardiache sono misurabili per 4-10 giorni per poi essere metabolizzate dal sistema reticoloendoteliale ed escrete per via renale [30]. La misurazione dei livelli di troponina nei pazienti con insufficienza cardiaca acuta fornisce informazioni sul danno miocardico anche se è opportuno ricordare che infezioni locali, fenomeni di infiammazione, insufficienza renale cronica o di attivazione di alcuni sistemi neuroendocrini può determinare incremento dei livelli plasmatici di troponina [31-33].

La concentrazione delle troponine cardiache circolanti aumenta con la gravità dello scompenso cardiaco acuto e la disponibilità di test altamente sensibili come la troponina I ad alta sensibilità che ha permesso la rilevazioni anche di bassi livelli di troponina.
Nel valutare il potenziale prognostico della troponina I ad alta sensibilità in aggiunta al BNP, sono stati arruolati 144 pazienti con insufficienza cardiaca acuta e misurati i suddetti biomarcatori al momento dell’accesso in Pronto Soccorso e durante la degenza. I pazienti sono stati seguiti per 90 giorni per verificare la mortalità e le riammissioni ospedaliere per scompenso cardiaco. Lo studio ha rilevato che i pazienti con elevati livelli di troponina I ad alta sensibilità e BNP avevano una prognosi peggiore (OR 15,97, p=0,007), seguiti da quelli con basso BNP ma elevata troponina I ad alta sensibilità (OR 12,94, p = 0,015) [34].

 

Adrenomedullina (ADM) e MR-proADM (Mid-regione molecola pro-adrenomedullin)

L’adrenomedullina è un peptide costituito da 52 amminoacidi originariamente isolato dal feocromocitoma umano. ADM ha un’azione vasodilatatrice e proprietà natriuretiche. Il suo gene è ampiamente distribuito nell’apparto cardiovascolare, polmonare, renale, gastrointestinale, nei tessuti cerebrali ed endocrini. ADM è anche sintetizzata e secreta dalle cellule endoteliali vascolari e cellule muscolari lisce [35]. Si tratta di un potente vasodilatatore con effetti ipotensivi, inotropi e effetti natriuretici ed è stimolato dall’incremento della pressione cardiaca e sovraccarico di volume. Studi recenti suggeriscono che la concentrazione plasmatica ADM è aumentata in diverse malattie come l’ipertensione, insufficienza cardiaca congestizia, insufficienza renale cronica e shock settico [36-38]. La sua determinazione nel plasma è limitata a causa della sua instabilità biologica e della sua breve emivita (22 minuti). Il frammento MR-proADM (Mid-regione pro-adrenomedullin) è un peptide che consiste in 24-71 amminoacidi ed essendo più stabile nel plasma, e più facile da misurare. In individui sani MR-proADM il valore normale è di 0,33 ± 0,07 nmol / L (range 0,10-,64 nmol / L) [39]. La trascrizione genica di ADM e il successivo rilascio MR-proADM in pazienti dispnoici è dovuto a tre possibili meccanismi: sovraccarico di volume, endotossine batteriche e citochine proinfiammatorie [40].

Secondo la letteratura la determinazione dell’ MR-proADM viene utilizzato non solo per la diagnosi e il rischio stratificazione dei pazienti con sepsi [45,46], ma anche come un marcatore prognostico nei pazienti con BPCO e infarto acuto del miocardio.
La combinazione di MR-proADM con NT-proBNP, BNP e altri biomarcatori può essere utile nella stratificazione del rischio per la mortalità nei pazienti con insufficienza cardiaca acuta [41]. Recenti studi hanno dimostrato che MR-proANP è utile nella diagnosi di scompenso cardiaco in pazienti di dispnea e può fornire ulteriore utilità clinica quando BNP è di difficile interpretazione (42,43).

 

ST2

L’ST2 è un membro della famiglia del recettore della interleuchina-1 è espresso dalle cellule endoteliali e rappresenta un nuovo biomarcatore associato al rimodellamento cardiaco, al sovraccarico ventricolare e alla fibrosi (44). Diversi studi hanno dimostrato il suo potere predittivo di mortalità nello scompenso cardiaco acuto mentre meno definito è il suo ruolo nello scompenso cronico. Si è osservato che valori >10 ng/mL costituiscono un fattore prognostico negativo in pazienti con scompenso cardiaco acuto (p<0,0001) (45).

 

Conclusioni

I biomarcatori nello scompenso cardiaco acuto riflettono singoli eventi fisiopatologici che sono alla base di questa condizione e giocano un ruolo specifico nella diagnosi e nella stratificazione del rischio del paziente. I marcatori biologici che abbiamo analizzato rappresentano uno strumento innovativo potendo rivoluzionare il processo decisionale clinico in emergenza.
Cosa più importante è che il marcatore biologico non dovrebbe mai essere interpretato al di fuori del giudizio clinico [46] e non deve essere usato come semplice valore numerico per porre diagnosi ma dovrebbe essere inserito nel contesto della storia clinica del paziente e dei segni e sintomi clinici, per evitarne un utilizzo fuorviante  e per garantire invece un miglioramento nella diagnosi rapida con il risparmio di risorse umane ed economiche nella gestione di questa malattia tanto diffusa.

 

Salvatore Di Somma

 

 

Salvatore Di Somma

Direttore Cattedra e Struttura Complessa di Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso
Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche e Medicina Traslazionale
Azienda Ospedaliera Sant’Andrea – Università Sapienza, Roma

salvatore.disomma@uniroma1.it

 

Dello stesso autore:
Biomarcatori e scompenso cardiaco acuto


 

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