Per gli incalliti i prodotti senza combustione sono il male minore
“Si fuma per la nicotina e si muore per i prodotti cancerogeni della combustione. Fumare fa male, va evitato, ma per chi non riesce a smettere, il male minore potrebbe essere il passaggio ai prodotti senza combustione. Si riduce del 90% la produzione di sostanze nocive”. Sia chiaro, “il rischio zero non esiste, nemmeno con questi prodotti. Bisogna smettere di fumare, ma serve anche essere pratici. Ridurre il rischio è un risultato importante nei fumatori incalliti, che non sono pochi, se si considera che, ad esempio, circa la metà delle persone con cancro al polmone continua a fumare a distanza di un anno dalla diagnosi”. Lo spiega all’Adnkronos SaluteVincenzo Montemurro, cardiologo, segretario generale della Fondazione italiani del cuore della Sic (società italiana di cardiologia) e responsabile del servizio di Cardiologia della Casa della salute ‘Scillesi d’America’ di Scilla, in provincia di Reggio Calabria.
“Bisogna essere realistici – afferma Montemurro – Il fumo fa male e non si discute. Ogni medico lo deve ricordare e spiegare, ma nel 2018 l’American College of Cardiology ha emanato un position paper in cui, di fronte all’evidenza del fallimento dei tentativi di far smettere di fumare in un’ampia percentuale di fumatori, prende atto che nei fumatori incalliti una riduzione dei fattori di rischio è un obiettivo da considerare. Le istituzioni dovrebbero prendere atto di questa realtà e prendere decisioni di buonsenso”, sottolinea il cardiologo. “Non esiste il rischio zero, la nicotina resta – precisa – ma non è cancerogena e ridurre il danno da sostanze tossiche del 90% è un risultato importante in questa popolazione”.
“L’abitudine al fumo è legata alla dipendenza da nicotina – ricorda Montemurro – ma i danni sono dovuti ai prodotti della combustione: metalli e idrocarburi policlinici e aromatici classificati come sostanze cancerogene. La combustione produce almeno 4mila sostanze nocive. C’è l’acetone, che è un solvente, il metanolo e il pirene che sono sostanze cancerogene note, la naftalina, il cadmio, il cloruro di vinile, il monossido di carbonio, il polonio, il Ddt: tutte sostanze nocive prodotte dalla combustione. Tra le sostanze cancerogene – continua l’esperto – è noto il legame del benzopirene con il tumore della pelle e del polmone. Il 4-amminobifenile è provato essere causa del tumore alla vescica, il polonio emana negli alveoli radiazioni alfa che modificano il Dna delle cellule della mucosa bronchiale”. Osserva Montemurro: “Nelle città si blocca il traffico quando il Pm10 supera i 50 microgrammi per metro cubo di aria. Da una sigaretta se ne producono 400 microgrammi per metro cubo e, in un ambiente come l’auto, la concentrazione va da 700 a 1.200 microgrammi”.
Il fumatore che ha l’abitudine al fumo di sigaretta “assorbe in maniera continua e costante la nicotina che dà assuefazione – illustra il cardiologo – Si assorbe in 10-15 secondi, raggiunge il nucleo accumbens del cervello, dove ci sono i recettori nicotinici, e da qui si attiva la sintesi della dopamina che dà benessere, euforia e assuefazione. Chi smette di fumare la sigaretta diventa nervoso, depresso, triste, ha un malessere fisico e psicologico perché va in carenza di nicotina”. Del resto, “nei prodotti senza combustione c’è la nicotina, che dà la dipendenza, ma le sostanze cancerogene calano del 90% perché il sistema blocca la temperatura a 350 gradi, quindi evita la combustione e non si formano gli stessi livelli di sostanze pericolose. Certo, il rischio zero con questi prodotti non esiste – ribadisce Montemurro – ma la riduzione drastica delle sostanze prodotte dalla combustione ne rendono razionale l’impiego nelle persone che non riescono a smettere. Si sceglie il danno minore”.
L’epidemia da fumo di sigaretta è una minaccia e una sfida per i sistemi sanitari. “Nonostante tutti gli interventi, infatti, aumenta – evidenzia lo specialista – L’Organizzazione mondiale della sanità puntava a portare la percentuale di fumatori al 19% per il 2025, ma siamo intorno al 24-25% e il 50% dei fumatori muore in media 14 anni prima dei non fumatori. Sono dati statistici molto importanti e in linea con quello che si registra in Italia. L’Istituto superiore di sanità qualche settimana fa segnalava che, se a maggio 2021 fumava il 23,7% della popolazione, nel 2023 il valore è salito al 24,6%, nonostante le campagne antifumo e le misure in atto. Inoltre, solo il 30-33% inizia a smettere di fumare e lo fa definitivamente solo il 9%. Quello che colpisce sono i 90mila morti fumo-correlati all’anno: sono 246 al giorno, 10 ogni ora. E’ come se cadesse un aereo ogni giorno: come evitiamo queste morti?”, si domanda l’esperto. “A tutti dico di smettere, ma quando mi ritrovo che, a distanza di un anno, continua a fumare il 50% di chi ha avuto una diagnosi di tumore al polmone e il 70% di chi ha avuto un ictus, bisogna pensare al male minore”.
Mentre alcuni Paesi come Inghilterra e Nuova Zelanda stanno ottenendo i migliori risultati al mondo in materia di contrasto al fumo proprio grazie al principio della riduzione del rischio e all’uso dei nuovi prodotti senza combustione come strategia di supporto ai fumatori incalliti, l’Oms tende a equiparate nuovi prodotti e sigarette tradizionali. “In Italia c’è un vuoto legislativo – riflette Montemurro – del resto la sanità è materia regionale. Ma lo Stato dovrebbe dare degli indirizzi. So che il ministro della Salute, Orazio Schillaci, si sta adoperando a dare indicazioni per colmare questo vuoto normativo”.