Pandemia COVID-19: tra dati reali e difficoltà interpretative
Osservazioni e considerazioni sulla mortalità da Covid in Italia nei primi tre mesi dell’anno ventesimo del terzo millennio.
di A.V. Gaddi, F. Capello, G. Rinaldi, T. Voci.
(Società EMR di Salute Digitale e Telemedicina, ACSA Associazione Interregionale Specialisti Medici Ambulatoriali)
Premessa e attenzione: questo articolo mira a far riflettere tutti noi sulle possibili conseguenze sociali, psicologiche, sanitarie ed economiche dell’uso dei dati di mortalità totale causati o concausati dalla pandemia, non a ragionare in termini scientifici sui calcoli della fatalità della Covid19 come malattia o del SARS-CoV-2 come agente patogeno, né sulla metodologia da adottare per avere indicatori di incidenza e prevalenza periodale attendibili, argomenti questi che abbiamo trattato in pubblicazioni ad hoc. Non si devono confondere i diversi piani di queste analisi, che hanno finalità diverse e si fondano su metodi scientifici diversi.
La citazione del terzo millennio non vuole essere una sorta di ampollosità letteraria né avere il sapore quasi escatologico di profezia dai foschi connotati. È solo che dobbiamo ben imprimere nella mente, l’anno 2020, come punto di discontinuità nella storia dell’umanità, non per la pandemia in sé (tante ne ha viste la storia del mondo) ma per il cambiamento radicale delle abitudini dell’intera umanità.
Vorrei dimostrare che sotto sotto vi è una questione di numeri, ed è per dei numeri (usati bene o male… vedremo) che si prenderanno decisioni epocali. Da qui in poi, per brevità, esamineremo solo lo scenario Italiano, ma la stessa analisi andrebbe fatta (e la stiamo facendo) a livello globale.
Simuliamo alcuni scenari.
Scenario A
a1) La mortalità da Covid in Italia (32,007 decessi attribuiti al SARS-CoV-2 nel momento in cui scrivo) si riduce progressivamente, oggi è di “soli” 99 decessi giornalieri, contro i 919 del picco registrato alcune settimane fa. Supponiamo che continui a ridursi lungo tutto l’anno.
a2) La mortalità totale annuale è stata negli ultimi tre anni (2017-2019) tra i 633,000 e i 674,000 casi per anno, QUINDI
a3) la mortalità italiana Covid relata annuale salirà a circa 34 mila morti per anno, e rappresenterà quindi il 5% della mortalità totale, e, pur determinando un lieve aumento, rientrerà nelle oscillazioni spontanee di questi anni, che sono state sempre di un odg di 3-4 decine di migliaia.
Conseguenze: la paura[1] si ridurrà, tutti insisteranno sul fatto che a morire sono i più anziani con comorbidità (vero !) e che comunque molti decessi Covid-relati dipendono spesso da altre malattie preesistenti (vero !) e che con altri sistemi di classificazione delle cause di morte i numeri sarebbero stati inferiori (vero !). Però abbiamo speso molto per arginare l’afflusso negli ospedali, abbiamo rischiato il collasso, ma il Paese ha retto (ndr la Difesa e qualche Regione ha fatto reggere il paese), ma certo ancora di più si dovrà spendere per terapie intensive e in reparti specialistici e consulenze di virologi (ndr: tipico del vetero-sistema ospedalocentrico italiano), ma tanto è passata, ormai è fatta, troviamo fondi anche per la ricerca e facciamo finta di farla (ndr sempre più o meno a pioggia, sempre clientelare, sempre parcellizzata e burocratizzata, ma ovviamente solo covid orientata e Covid mirata, almeno finché non sarà un prione o una cellula vegetale impazzita a spaventare di nuovo l’umanità).
E così via fino alla pandemia successiva, che ovviamente ci troverà impreparati.
Scenario B
b1) La mortalità da Covid in Italia aumenterà (se mai da ottobre) e vi sarà una seconda poussee simile alla prima o forse un poco inferiore; i dati di mortalità degli anni precedenti (vedi a2) restano gli stessi
b2) a fine anno conteremo dunque circa 50,000 morti covid-relati, saliamo a una oscillazione di quasi il 9% che non rientra più tra le variazioni osservate negli anni precedenti. Dunque: Covid aumenta la mortalità di una intera nazione in modo evidente.
Conseguenze: la paura resterà uguale ovvero oscillerà a seconda di come la stampa ci racconterà le notizie, ma il Governo dirà comunque di essere forte e pronto e cercherà di rassicurare tutti, ancora si insisterà sul fatto che a morire sono i più anziani con comorbilità… omissis… vedi sopra, ma vi saranno furibondi litigi sul tenere aperto chi e quando e perché, e se abbiamo fatto bene ad andare al mare a mostrar le chiappe chiare oppure era meglio stare a casa, e le varianti del lookdown riempiranno pagine e pagine dei giornali. Scoppierà (questo è quasi matematico, e spero di essere solo ironico) una seconda pandemia burocratica (decreti a correzione di decreti o ad ampiamento di decreti, delibere di giunte regionali a catinelle). Verranno comunque proposte alcune delle scempiaggini descritte sub (a) (più soldi agli ospedali e più soldi alla ricerca, sempre a pioggia e ai clients ovviamente) e il paese andrà avanti nel caos totale. Potrebbe esserci, qui da noi o in altri paesi, qualche rischio serio per la democrazia e/o per l’organizzazione generale. Cambiamenti di governo e di indirizzo altamente probabili e giustificati; possibile regionalizzazione estrema e drastica, con isolamento e autarchie varie. Impossibile prevedere cosa succederà poi nel 2021 e 2022, ma verrebbe da pensare a un “nulla di buono”. Estensione e mixing del caos interno con quello internazionale (casino total per usare l’espressione di un valente ricercatore portoghese). Molti tenteranno comunque di proporre altri marcatori, al di là della mortalità, per depistare opinione pubblica. In realtà sulla identificazione dei marcatori giusti (la mortalità non lo è, o almeno non lo è cosi come usata oggi) si giocheranno molte partite a livello scientifico, ma per l’opinione pubblica e per i governi quello resterà il riferimento assoluto, soprattutto se ci si accorge che si comincia a sforare “di nuovo” rispetto alla tenuta del sistema cimiteriale.
Scenario C
c1) La mortalità aumenterà (ipotesi più probabile è sempre dall’autunno) al ritmo di circa il 40% in più rispetto alla mortalità totale precedente, con una possibile attribuzione al Covid di almeno la metà di questi “decessi in più” rispetto ai trienni precedenti. Ovviamente questa attribuzione cambierà in funzione dei test eseguiti e dei criteri diagnostici utilizzati e sarò più circostanziata per i decessi intraospedalieri rispetto a quelli at home. Per ottimismo non calcoliamo neppure l’ipotesi che l’aumento si realizzi da subito. Non sia mai, anche se la preparedness imporrebbe proprio questa scelta, ma non vogliamo spaventare il lettore.
c2) in questo caso prima o poi qualcuno segnalerà che vi sono stati in un anno circa 101 mila morti (+ 15% della mortalità totale) e questo comincia ad essere uno scenario oltre che tragico, insostenibile. Nella innominabile e impensabile ipotesi che scaramanticamente non abbiamo formulato i morti in più salirebbero a oltre 170 mila, ipotesi realistica per altre realtà, a parità di denominatore, se si osservano anche oggi le curve di crescita dei contagi in paesi che non adottano difese idonee.
Non vogliamo ora formulare previsioni per la terza ipotesi, solo chiarire al lettore che essa deriva dalla lettura di un rapporto ISTAT e ISS (“Impatto dell’epidemia di Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente. Primo Trimestre 2020”) che analizza i dati comparativi del sistema di sorveglianza giornaliero sulla mortalità nei comuni e assieme nel sistema di Sorveglianza Nazionale integrata Covid 19 che fornisce le informazioni alla protezione civile e alla cabina di regia del Governo.
Quindi in realtà verrebbe da pensare che -nella deprecata ipotesi di ripresa del Covid- lo scenario più probabile sia quello C, l’ultimo esposto.
È interessante osservare che il rapporto riporta i dati aggiornati a fine marzo (quando i morti erano 10mila meno di oggi) e che è stato pubblicato il 4 maggio, il che probabilmente si spiega con la enorme mole di calcoli necessari e con la impressionante quantità di pagine e di tabelle da scrivere o forse con altre ragioni che non riteniamo ora di dover commentare. In calce al documento si legge una apprezzabilissima nota che precisa che in regime di normalità l’acquisizione e validazione dei microdati delle cancellazioni dall’anagrafe richiede un lavoro di 10 mesi ma che in virtù della situazione emergenziale si cercherà di fare meglio. Forse, i macro-dati di mortalità, anche con riserva di validazione e correzione, di un sistema di raccolta giornaliera dei dati, dovrebbe evitare una latenza massima di una settimana, e, in condizioni emergenziali, dovrebbe essere in tempo reale. Ad impossibilia nemo tenetur, ma forse con qualche collaborazione con i nostri potenti centri di calcolo e qualche finanziamento in più all’ISTAT (finalmente ben speso) potrebbe consentire agli epidemiologi di avere dati certi in tempo reale.
L’ISTAT comunque ha il merito di evidenziare una discrepanza significativa tra i dati di mortalità comunicati da ISS e dalla “cabine di regia”, usati per pesare la pandemia, e quelli relativi alla mortalità totale reale, che a marzo (e presumiamo ancor di più ad aprile, dato ahimè non riportato per il guaio dei lunghi tempi di gestazione) è risultata molto più alta. Qualcosa non ha funzionato e parrebbe dal documento che i nostri territori del nord Italia abbiano prodotti 11,600 morti in più in 40 giorni (ma quasi tutti addensati su soli 20 giorni) le cui cause possono essere, come giustamente suggeriscono gli autori del rapporto, a) una mortalità ulteriore da Covid, b) una mortalità indiretta da Covid o c) una mortalità indirettamente legata al Covid che ha mandato in crisi il sistema ospedaliero. Comunque in più anche essi rispetto a quanto avremmo voluti vedere.
E nasce il ragionevole sospetto che siano morti tutti sul territorio, a casa, sfuggendo alle approssimative maglie della rete ospedaliera e della diagnosi non clinica ma imposta dagli “igienisti” della WHO e del Governo come necessariamente centrata solo su un tampone positivo….. che siano morti senza che i Medici -del tutto disarmati- potessero intervenire, senza che i parenti lo sapessero o potessero difendersi …. o forse lo avranno sospettato grazie a qualche dottore spericolato (quanti ne sono morti… !!!) o grazie alla sapienza popolare.
E l’anonimo estensore del rapporto, che ringraziamo per il lavoro svolto, con una nota di vera tristezza pur nella asetticità della statistica ci segnalano -con quel citare i “numeri a tre cifre”- la tragedia di alcune città: Bergamo con il 568% in più di mortalità, Cremona il 391% …. Piacenza e Parma il 264 e 208% in più…. Pesaro e Urbino 120% in più…. e cosi anche in altre città del centro nord, bombardate dall’epidemia.
Il terzo scenario “C” è dunque devastante per le implicazioni territoriali, visto che l’attenzione è ancora tutta focalizzata sulle criticità dell’assistenza ospedaliera e sul numero di posti di terapia intensiva.
Le pandemie non si combattono nei reparti di terapia intensiva, ma sul territorio: è lì che si aprono e chiudono i rubinetti dei flussi ospedalieri. E le pur necessarie e benedette terapie intensive rischiano, loro malgrado, di risultare molto utili anche in termini mediatici, per consentire ai singoli sistemi sanitari di far vedere i muscoli delle proprie tecnologie, e ai governi di sentirsi a posto con la coscienza. E sono certo, più che certo, che nessun medico né operatore sanitario, tanto meno quelli dei reparti ad alta intensità di cure, vogliono questo. Forse una struttura gerarchica che regola i flussi e somministra le cure ad home, anche energiche, e manda in intensiva solo i casi che necessitano di assistenza continuativa in equipe, potrebbe rappresentare una soluzione più elastica e modulabile e più efficace. La materia è da discutere, presto. Serve una revisione sostanziale dei processi e delle strutture di cura, che non erano nate per fronteggiare delle pandemie. Ad esempio proprio quegli 11,600 morti in più di “forsecovid”, se sommati al numero di tutti quelli che avrebbero diritto all’assistenza intensiva (tra gli anziani con comorbidità: quasi tutti), potrebbero suggerire di spendere parte rilevante del bilancio dello Stato in un numero ancor più alto di posti letto. Penso a un fattore 10, se vogliamo essere etici e pronti o se il virus diventa più aggressivo……. È così abbandoniamo del tutto le cure primarie e l’assistenza di primo e di secondo livello. Finché si ragiona così vincerà sempre e solo il virus, che predilige gli ospedali come luogo di sfida all’intelligenza umana e di contagio.
I numeri dichiarati alla gente, comunicati dalle TV e dai Giornali, utilizzati dalle cabine di regia centrali, regionali, loco-provinciali e loco-aziendali, sono importanti e possono influenzare le scelte strategiche in campo sanitario, le strategie politiche ed economiche, i sentimenti della gente. Dunque devono essere disponibili a tutti e in tempo reale ed esatti in merito alle cause e concause e ai fattori di rischio, e soprattutto NON limitati al Covid, perché, in Italia c’è ancora tanta gente che soffre e muore per altre malattie, anche se non fanno parte del nuovo universo schizoide che divide la sanità in covid si e covid no. Potenza della stupidità e della pubblicità.
Con estrema serietà, senza ironia, vorrei concludere con una delle più efficaci proposte terapeutiche che in questo momento mi sento di proporre o meglio di proclamare: “Santa Maria, Regina Pacis, Madre del Salvatore, proteggici dai virus e da noi stessi”.
Se poi qualcuno, ad orientamento più laico, o anche decisamente agnostico, vorrà declinare la frase invocando il sole, il caldo e la stagionalità, o la scomparsa spontanea e casuale del coronavirus, ha tutta la nostra simpatia e approvazione. Infatti entrambi gli atteggiamenti indicano una sana presa di coscienza dei limiti dell’uomo e delle sue organizzazioni, purtroppo gravati da quella proterva e supponente stupidità e da quella autoreferenzialità para-burocratica che impediscono a molti di utilizzare al meglio l’intelligenza e le risorse che ci vengono date. Sed portae inferi non prevalebunt: ce la faremo, prima o poi.
[1] Uso il termine paura in modo improprio, senza distinzioni tra utile paura e angosciosissima angoscia, e non entro nelle conseguenze psico sociologiche della pandemia perché il ragionamento mira a ben altro. Ma in realtà una analisi approfondita dovrà tenere conto di questi fattori e dei numerosi altri che possono condizionare le risposte della gente e delle istituzioni.