Solitudine: parola dalle molte sfaccettature e significati

La solitudine è sofferenza maledetta non quando si è soli
ma quando si ha il sentimento di contar niente per nessuno.
(Enzo Bianchi)

In un rapporto ISTAT sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, circa 1,6 milioni di anziani, tra i 65 e i 74 anni, si sentono al sicuro.
E il resto? Quasi nove milioni di italiani hanno paura di rimanere soli al momento del bisogno.
La letteratura scientifica degli ultimi anni si è occupata molto di solitudine, con dati allarmanti sul fatto che la solitudine soprattutto nell’anziano è una compagna molto dolorosa con un forte impatto sulla qualità della vita e sui costi assistenziali. Bisogna precisare da subito che, in questo caso, si parla di solitudine “indotta” non desiderata e non quella scelta liberamente.

Il Governo inglese ha recentemente deciso di istituire un Ministero per combattere la solitudine (2018), con un’elaborazione di dati molto interessanti. 9 Milioni di inglesi si sentono soli, tra i cittadini con almeno una disabilità circa la metà vive sola e, non ultimo, gli over 65 trascorrono buona parte del loro tempo libero davanti alla tivù. Il governo inglese si è spinto più in là e nello specifico ha quantizzato le spese, evidenziando che i datori di lavoro spendono circa 2,5 miliardi di sterline all’anno a causa della solitudine.

Su questa scia di dati e su quanto effettuato dal governo inglese, altri Stati si sono mossi. Ad iniziare dall’Australia che ha studiato il fenomeno e promuovendo una campagna dal titolo “Power of Human Connection”, che messa on line ha promosso il problema evidenziando le criticità, prima fra tutti la vastità enorme dell’Australia che certo non facilità i contatti tra le persone soprattutto quelle che vivono distanti dai centri abitati. Il risultato è stato che uno su quattro tra gli australiani soffre di solitudine.

Tanto è di attualità l’argomento che è stata istituita la giornata contro la solitudine dell’anziano, il 15 Novembre. Questo al fine di effettuare una modificazione culturale che talvolta non permette di fermarsi a pensare ed osservare. Pertanto l’incontro tra scienza, situazione reale del cittadino, la sua qualità di vita che nella solitudine esprimono tutta la loro fragilità.

La solitudine peggiora la qualità di vita, scopre la povertà delle relazioni tra le persone, l’infelicità, ma soprattutto una evidente minore fiducia ed insicurezza in sé stessi che inficerà di molto il loro futuro. Di conseguenza meno frequentazione di amici e/o conoscenti, addirittura con gli stessi membri della famiglia, minore attenzione alla cura di sé ad iniziare dall’igiene personale, talvolta aumento dell’utilizzo di farmaci.

Oggi conosciamo molte delle cause di solitudine, tra l’altro collegate allo stato di salute dell’anziano.

Un ruolo molto importante è quello della famiglia che sovente manca. Il continuo tran tran della vita non permette di dedicarsi all’anziano in maniera adeguata. Bisogna stimolare l’individuo l’anziano a fare in modo che continui a coltivare la rete relazionale anche a costo di modificare atteggiamenti e modi di vedere le cose. Il non mi sento compreso, mi sento isolato devono scomparire dalla mente dell’anziano che invecchia giorno dopo giorno.
Secondo Vivek Murthy, la solitudine è associata ad una riduzione della durata di vita paragonabile al fumo di n. 15 sigarette al giorno e superiore a quello associato all’obesità.
Dovremmo cambiare il modo di vedere delle persone, della comunità finalizzato a creare una nuova rete di relazioni, di comunicazioni.

La solitudine è un sentimento molto diffuso nel mondo giovanile. Non è la stessa cosa che rimanere isolati su di una montagna: vuol dire non essere percepiti, non avere un senso in mezzo alla gente, sentirsi soli tra tante persone. Si ritrova solo colui a cui nessuno attribuisce un significato, colui che vive ma è inutile.
(Vittorino Andreoli)

Il tema della solitudine non riguarda solo gli anziani ma anche i giovani e da dati ISTAT (2018) si evince che la percentuale di persone sole vari a seconda delle diverse fasce di età. Ben più del 38% degli over 75enni vive da solo in Italia.
I dati ISTAT (2017) ci dicono che in Piemonte gli anziani over 65 sono il 25,1% della popolazione. Le famiglie di anziani over 65 che vivono soli sono quasi il 49%, mentre circa l’11% con più di 85 anni.

Un fenomeno che è venuto alla ribalta è quello degli “hikikomori” che dal nome prende la sua origine dal Giappone. Letteralmente significa “stare a parte” e riguarda principalmente ragazzi che piano piano si ritirano dalla scuola, si isolano nelle loro stanze con l’unico compagno il loro PC e non interagiscono con nessuno compresi i familiari.

Uno dei maggiori studiosi al mondo del problema dell’isolamento è stato uno studioso nord americano di origine italiane, John Cacioppo. Ha pubblicato numerosi lavori sull’argomento ed ha evidenziato come ci si può sentire soli anche se circondati da numerose persone. Pertanto il problema vero è quello di capire la mancanza dei rapporti considerati importanti che producono qualità della vita dell’interessato. Inoltre l’autore ha dimostrato i “solitari” hanno una mortalità maggiore.
Le donne sono più disposte ad ammettere e riportare sentimenti di solitudine mentre è il contrario per gli uomini (Nolen – Hoeksema e Rusting, 2000).

Uno studio importante è stato il Grant Study che ha dimostrato che avere relazioni amicali è un fattore protettivo per vivere bene e più a lungo. In più se si vedono i risultati del Ninety Study, su novantenni con “succefull aging” che avevano avuto molte relazioni sociali nel corso della loro vita ma anche che fumare qualche sigaretta, alcool in quantità moderata, lieve sovrappeso erano attenuati dall’avere relazioni interpersonali al contrario di soggetti che facevano una vita più sana ma con poche relazioni interpersonali. Questo ancora a dimostrazione che intrattenere relazioni interpersonali può avere effetti “protettivi” su alcuni fattori di stili di vita.

Gli italiani hanno più difficoltà a chiedere aiuto nel bisogno rispetto ad altri popoli dell’Europa al contrario, ad es. della Repubblica Ceca; cosi come la difficoltà evidente di parlare di nostre faccende intime.
La solitudine, l’isolamento sociale sono in grado di influenzare la salute mentale, un esempio classico è la depressione, seguita dall’ansia sociale, il declino cognitivo fino alla demenza, disturbi del sonno, consumo di alcool, fumo fino ad arrivare ad un aumento della mortalità.

Talvolta si arriva all’epilogo: il suicidio. Il prof. De Leo, uno dei massimi studiosi al mondo sull’argomento, ha studiato cosa sarebbe potuto accadere in particolare ai maschi suicidi se avessero avuto una rete di sostegno sociale ad hoc. I risultati dicono che se avessero avuto una rete sociale ad hoc il tasso di suicidi si sarebbe ridotto di tre volte.

Un interessante libro di Kate Leaver da la massima importanza all’amicizia. L’amicizia vissuta profondamente ha una grandissima influenza sulla salute psicofisica dell’individuo.

Esiste una biologia della solitudine? Il Prof. S. Govoni parla di molte varianti del fenomeno solitudine. Quali sono i comportamenti che “indirizzano” le persone verso la solitudine. Alcuni studi ci dicono l’ereditabilità della solitudine varia tra il 37% ed il 55% ma non sempre sono evidenziate correlazioni chiare. Cacioppo ha evidenziato che non risulta un’associazione significativa fra determinanti genetici e solitudine. Il prof. S. Govoni conclude che nel complesso si può affermare che i tratti di personalità, i fattori di rischio ed i determinanti ambientali della solitudine possano essere definibili, mentre non è ancora possibile definire le sue basi genetiche con precisione.

Ancora dagli studi di Cacioppo propongono l’ipotesi di una neurologia della solitudine. Viene riportata una significativa relazione positiva tra la solitudine e interleuchina 6, fibrinogeno e proteica C reattiva. In altre parole sentirsi soli è associato ad uno stato di infiammazione sistemica. Cacioppo da anche cenni sulla terapia, individuando nell’allopregnanolone, un neurosteroide endogeno che altera l’equilibrio neurochimico cerebrale. Tra gli SSRI, la fluoxetina sembra da preferirsi. Allo stesso modo importante gli interventi psicologici sono da preferirsi.

La solitudine ha diversi aspetti e colpisce diverse persone. Esiste una solitudine dei familiari di pazienti con patologie particolari, ad es. la Malattia di Alzheimer. Il sentirsi soli del carreggiare, l’isolarsi col proprio parente a tal punto da non ricevere più amici e/o conoscenti. Si varia dal senso di rabbia, alla vergogna, all’evitare di farsi vedere dai vicini.

La solitudine di chi assiste sovente a causa dell’insufficiente rete di rapporti formali, riversando sulla famiglia del paziente quasi l’intero carico assistenziale. Il Caregiver si sente solo, nella sua tendenza ad isolarsi ma la cosa più dura è sentirsi soli dopo aver perso una persona cara che molto spesso non lo riconosce più.

Bisogna essere consapevoli della solitudine, ma essere consapevoli anche della patologia del proprio caro e, non ultimo, della progressione della patologia stessa.

Per l’onerosità del compito che lo attende e che svolge giorno dopo giorno, il Caregiver diventa inconsapevolmente vittima della patologia stessa. Nell’ambito famigliare è il Caregiver che assume il ruolo di responsabile attivo della presa in carico, sia di cura che assistenziale.

In altre parole la solitudine di chi cura non ultimo la solitudine del medico. Quest’ultimo sovente nell’atto della cura è solo. Si parla tanto di lavoro d’equipe ma molto spesso si è solisti. Un interessante studio di D.J. Bartram e D.S. Baldwin (del 2010) studia i casi di suicidio tra i medici e descrive i veterinari come la specialità medica col più alto tasso di suicidio.

L’Associazione Italiana Psicogeriatria (AIP) ha da qualche anno messo tra gli argomenti più importanti da trattare quello della solitudine, proprio a dimostrazione che l’argomento è di attualità e soprattutto nel trovare dei rimedi per aiutare i più bisognosi. A tal proposito è stato redatto un documento (La Carta di Padova) che è una sorta di decalogo per contrastare questo fenomeno così devastante. Cito anche un interessante volume che consiglio, Nemica Solitudine a cura dei Prof. Diego De Leo e Marco Trabucchi, con un’attenta analisi e proposte per contrastare la solitudine dell’anziano.
La solitudine come nemica del futuro, di quel futuro che ciascuno di noi si augura roseo.

Amo le persone. Amo la mia famiglia, i miei figli.
Ma dentro di me esiste un luogo nel quale vivo tutto solo, è lì che rigenero le fonti che non si esauriscono mai.
(Pearl Buck)

Antonino Cotroneo

Geriatra – SC Geriatria OMV ASL Città di Torino

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