Stato dell’arte della Pandemia COVID-19
Intervista della Dott.ssa Maria Chiara Voci al Professor Antonio V. Gaddi
Domanda n .1
Lei lavora incrociando studi e statistiche. A inizio marzo le sue previsioni si sono rivelate del tutto affidabili. Si poteva dunque prevedere lo sviluppo di questa epidemia, oggi diventata pandemia? Quando? L’esperienza cinese, che risale a inizio anno, in un mondo globalizzato, non rappresentava già un sufficiente campanello d’allarme? Si poteva approntare un modello italiano differente?
Il premio Nobel, Niels Bohr diceva che “le previsioni sono difficili… soprattutto per il futuro”: dunque nessuno di noi deve sentirsi troppo sicuro, a fronte di un nuovo agente patogeno e a una situazione così complessa come è l’attuale pandemia. Detto ciò, penso che fin da fine gennaio/primi di febbraio avrebbero dovuto scattare allarmi molto forti. La preparazione a eventi critici di massa (“preparedness”: citata in tutti i manuali sull’argomento) consiste proprio in questo: disegnare gli scenari peggiori e più probabili e definire immediatamente le contromisure, salvo poi non adottarle ove le cose vadano -da sole- per il meglio.
Da anni, ciclicamente, compaiono nuovi virus “letali”, in particolare tra i coronavirus con tasso di variabilità altissimo: 1% al giorno 1; tutti i “campanelli d’allarme” (SARS, MARS ecc) suonati in precedenza erano in realtà gravi e rappresentano altrettante pandemie mancate per un soffio.
Dunque al primo, anzi al primissimo, segnale sarebbe dovuta partire la fase di preparazione ET di esatta comunicazione del rischio. Nessuno aveva diritto -né i ricercatori né i governanti- di far prevalere la visione incoscientemente ottimistica, basata sullo sperare che “a noi vada bene” o, peggio, quella attendista “aspettiamo e se serve ci regoleremo”. Ciò in particolare considerando che, in un contagio, quello che conta è la risposta corale dalla popolazione, che va adeguatamente preparata “prima”!
Ma attenzione: il principio enunciato vale per questa tragedia, e, su scala minore, vale per tanti altri eventi (la possibile esondazione del Po, un’eruzione del Vesuvio con emissione di gas pesanti (i modelli prevedono 30mila morti -sic- in pochi minuti…) e … ometto gli altri, ma ce ne sarebbero tanti. Alcuni eventi sono poco prevedibili e difficilmente gestibili; questa pandemia no: era prevedibile e gestibile meglio.
Il modello cinese di difesa ha funzionato bene, almeno in base ai dati a noi resi noti, e prevedeva, fin dall’inizio, misure assolutamente drastiche. Il cosiddetto modello italiano poteva e doveva partire molto prima ed essere più completo. Sulla tempistica non ho dubbi, sulla seconda ipotesi osservo che applicare contromisure efficaci è facile a dirsi e difficile a farsi. Quindi ritengo non si possano dare valutazioni di merito, anche perchè è sotto gli occhi di tutti che anche altri Stati hanno sottovalutato il pericolo -o sono starti attendisti- come o più di noi. Ovunque -nel mondo industrializzato in particolare- la ragion politica e il buonismo hanno prevalso sulle ragioni scientifiche e sulla prudenza.
Un modello italiano migliore era, ed è tuttora, auspicato e fattibile. Per prima cosa abolendo la parte peggiore e paralizzante dell’organizzazione amministrativo-burocratica; migliorando la comunicazione del rischio, razionalizzando la distribuzione delle risorse, ora a pioggia per non dir peggio, e altro.
La comunicazione del rischio iniziale è stata in alcuni casi imbarazzante, non affidata a professionisti, non coordinata con i giornali e le televisioni, se non nel trasmettere immagini di politici e tecnici. I suggerimenti pratici forniti erano spesso incompleti, vaghi, presentati in ordine sparso e non di importanza (prima di tutto lavarsi le mani…) soprattutto nella fase iniziale del contagio, quando era di grande utilità dare informazioni precise.
I mass media, così importanti in un mondo globalizzato e “messo in quarantena”, non sono fin da subito stati utilizzati come un potentissimo mezzo di comunicazione, e dobbiamo solo alle grandi professionalità del settore se vi è stata a poco a poco una correzione del tiro che ha positivamente aiutato la gente a capire e a difendersi.
Da quando l’allarme è stato esplicito, il popolo italiano ha capito e risposto benissimo, assieme non solo ai nostri fantastici medici e infermieri, ma a chi lavora negli altri comparti, primo fra tutti quello strategico dell’alimentazione, quello dell’informazione, quello delle forze dell’ordine, la logistica, le imprese strategiche!
Domanda n.2
Hanno inciso maggiormente i tagli al settore sanitario o la mancanza di un coordinamento, con una vera cabina di regia, sul ritardo con cui il Governo ha risposto sia sotto l’aspetto della disponibilità di strutture fisiche, che sulla distribuzione e l’approvvigionamento di sistemi di previsione e protezione individuale e di dotazioni impiantistiche? Ancora oggi il problema persiste: come si risolve?
Penso di sì: tagli al settore sanitario, o meglio una distribuzione delle risorse (investimenti, uomini, mezzi) non effettuata secondo principi di ragionevolezza clinica e scientifica, hanno influito negativamente sulla risposta del sistema sanitario alla pandemia. Persone più esperte di me potranno fare analisi approfondite e dare suggerimenti ulteriori: io constato che la gestione della spesa sanitaria è sempre meno sotto il controllo di coloro che sono quotidianamente alle prese con la salute dei cittadini. Penso che si dovrà impostare ex novo il problema del “governo clinico” della salute, che oggi è tutto meno che clinico, e si dovrà aprire la porta ai privati (non solo la sanità privata, ma tutte le forze imprenditoriali), senza tenere il sistema pubblico blindato e poco accessibile)!
L’approvvigionamento delle protezioni individuali rientra nella “preparedness”: non essendoci questa, non ci sono neanche le protezioni individuali e siamo stati presi in contropiede. Forse non sarebbe stato facile prepararsi bene -vista la velocità della pandemia- ma questa è un’ulteriore ragione di lungimiranza. In particolare le mascherine sono stato oggetto di campagne informative drammaticamente sbagliate e contraddittorie, tutt’ora in atto.
Oggi il problema della cattiva distribuzione delle risorse è più acuto che mai, anche nel settore strategico della ricerca. Sia l’Europa sia l’Italia stanno distribuendo fondi e sussidi di ricerca, per lo più a pioggia, con bandi aperti per pochi giorni, confusi e confondenti, che non consentono ai partecipanti -non tutti animati da buone intenzioni- di convergere su ricerche sia applicative per avere ausili immediati, sia quelle, ancor più importanti di fondo, per capire il virus e trovare le armi per distruggerlo. Qui mi pare sia finora mancata del tutto la programmazione, sia a livello centrale sia periferico (Atenei e Istituzioni di ricerca). Ma siamo in tempo a rimediare. I fondi distribuiti così costituiscono uno spreco di risorse improduttivo e babelizzante, che, se produrrà qualche buon risultato, sarà solo per la genialità di qualche singolo gruppo di studiosi, comunque sempre auspicabile.
Domanda n.3
Ritiene che sarebbe stato opportuno sottoporre la popolazione a un monitoraggio preventivo con tampone? Crede si possa agire ora?
Un monitoraggio preventivo con il tampone orofaringeo (o altri) non è plausibile per molte ragioni, correlate non solo alla necessità di laboratori ad alta specializzazione e ai tempi di risposta, ma anche al fatto che la RT-PCR presenta moltissimi falsi negativi, l’esito è operatore dipendente, e dipende dalla scelta di quale tampone eseguire (orofaringeo? Nasale? Sull’escreato o sullo sputo? Sulle feci? E così via) e da dove si è localizzato il virus in quantità “misurabile”. Un recente lavoro sull’American Journal of Medical Association chiarisce questi aspetti. La RT-CPR non è un gold standard per la medicina, ma serve (ed è irrinunciabile) per avere un’idea di come si muove il virus a livello epidemiologico. Sono cose diverse! La diagnosi in medicina si fa sempre con TUTTI gli strumenti a disposizione, e la diagnosi differenziale si basa non solo sul vedere l’RNA virale del COVID ma, ad esempio, nell’escludere la presenza di altri virus, o di altre cause di danno polmonare e miocardico o di altri organi. La diagnosi in medicina è sempre complessa e non può dipendere solo da un test.
Domanda n.4
I test in circolazione sono affidabili? Se sì, quali? Oppure l’unica soluzione sarà attendere un vaccino?
I medici del territorio sono totalmente sprovvisti di armi diagnostiche efficaci. Tra le procedure estendibili all’intera popolazione, ma sempre da affidare a professionisti, vi è quella dell’analisi degli anticorpi contro il SARS-CoV-2. Ne esistono più test in commercio, pare non tutti affidabili e, soprattutto, che devono essere usati nel modo giusto, dai medici o, nell’emergenza, da infermieri e farmacisti. Misurano la risposta anticorpale (quella che distrugge il virus) e quindi vanno usati per misurare gli anticorpi, quando questi si sono formati, e non per altre finalità.
Noi, per facilitare l’uso di test utili, abbiamo pubblicato dei protocolli di impiego (Clinical Performance of the VivaDiag ™ COVID-19 lgM / IgG Rapid Test in a Cohort of Negative Patients for Coronavirus Infection for the Early Detection of Positive Antibodies for COVID-19 www.clinicaltrials.gov), cui hanno aderito numerosi centri di ricerca e clinici internazionali. I primi risultati che si sono osservati con i test sierologici sono validi e penso che questi metodi di screening rappresentino un’arma in più da mettere in mano ai medici e ai professionisti dell’area sanitaria)
Domanda n.5
Dovremo imparare a convivere con il virus? Le epidemie torneranno in futuro a essere un punto debole della nostra vita? C’è una relazione con l’inquinamento?
Sì, dobbiamo da subito iniziare a convivere con questo virus e con gli altri che verranno. E’ poco realistico pensare che le mutazioni dei virus e la loro aggressività si “spengano” da sole. Forse possiamo sperare che in un futuro avremo armi tali da debellarli, ma fino a quel momento dobbiamo essere “preparati” a conviverci e a trovare modalità di vita “virus-compatibili”. Si rifletta sempre sul fatto che non è la prima pandemia nè la prima epidemia…inutile illudersi.
Che diventino poi il punto debole della nostra vita dipende molto da noi. Su questo punto sarei realista… e non pessimista. Via le angosce e le fobie…anche perchè comunque ci sono altri punti deboli della nostra vita (diabete, malattie del metabolismo, del colesterolo e dei trigliceridi, pressione elevata, ecc) che causano, tuttora, 100 volte più morti e 100 volte più problemi di salute rispetto alle malattie virali. Alle prime, però, ci siamo abituati, anche perchè non causano disastri economici e hanno meno ripercussioni dal punto di vista sociologico, ma NON dobbiamo abbassare la guardia.
La relazione con l’inquinamento c’è ed é totale. Infatti, al di là del fatto che i pollutants possono essi stessi veicolare i virus (e su questo servono ulteriori ricerche) e al di là del fatto che gli inquinanti possono facilitare l’azione patogena del virus oppure determinare comorbidità che ne aggravano la fatalità, c’è la constatazione FONDAMENTALE che i mezzi difensivi sono in larga parte comuni (dagli abbattitori di particelle per uso domestico, i cosiddetti air cleaner, alle mascherine). E dunque sono problemi da trattare assieme, sia dal punto di vista clinico operativo, sia da quello della ricerca. Questo, per altro, rappresenta un vantaggio in qualche modo, nel senso che potremmo imparare a difenderci da entrambe le pandemie (e val la pena notare che ci sono circa sei milioni di morti ogni anno a causa dell’inquinamento e che il numero è in crescita…)
Domanda n.6
Cambierà l’osservanza delle norme igieniche, non solo in ospedale, ma anche in casa, sul posto di lavoro, in comunità? Che impatto dobbiamo attenderci sia sul rallentamento delle abitudini che sui costi che il sistema dovrà sostenere?
Dovrà cambiare di molto l’osservanza delle norme igieniche, ma questo è un vantaggio perchè servirà a difendersi anche da altre malattie e a vivere meglio. A poco a poco tutti noi capiremo come combattere le malattie. Le abitudini di vita saranno profondamente modificate nei prossimi anni, anche per le conseguenze economiche e organizzative dell’epidemia, ma in questo il mondo deve vedere anche una grandissima opportunità per ripartire meglio. Pensiamo, ad esempio, a case più salutari ed ecologiche, pensiamo al fatto che le eventuali maggiori spese per migliorare la qualità di vita saranno utili, e creeranno lavoro orientato al bene degli altri…non voglio cadere nella facile retorica del “mettiamo un fiore nei nostri cannoni” ma se l’umanità si desse una calmata e si bilanciassero meglio le azioni positive, per il bene degli altri, rispetto a quelle negative (ovvero si applicassero i criteri di massimo beneficio e minimino danno anche nell’economia) non sarebbe sbagliato.
Domanda n.7
Sotto il profilo psicologico, potrebbe svilupparsi, alla riapertura, una fobia da contagio nelle fasce più fragili della popolazione?
Spero proprio di no… e molto dipenderà dalla corretta comunicazione del rischio. Le fasce fragili dal punto di vista fisico e psicologico, e in particolare gli anziani, vanno aiutate e tutelate, specie in questa fase di isolamento, ma loro, e tutto il popolo, spero si possano lasciare alle spalle l’angoscia del contagio, non perchè il virus non ci sarà più (malattie microbiologiche ci saranno sempre) ma purché tutti avranno capito come difendersi, e perchè affronteranno le paure da Uomini (non nel senso di maschi, nè di forti) ma da Uomini dotati di ratio ethica e di ratio technica e di quella sapienza della speranza e della carità che può muovere il mondo verso il bene.
Domanda n.8
Si fa strada la convinzione che nel “dopo pandemia” il modo di vivere non sarà più quello di prima. Crede che questo avrà un impatto anche sull’organizzazione dell’assistenza medica?
Onestamente spero di no, perchè temo uno spostamento di risorse, dettato da motivi elettorali e demagogici, verso il prevalere di una tipologia di assistenza “reattiva” all’epidemia e a quello che la gente si aspetta di sentirsi dire. Un sistema sanitario DEVE di base essere organizzato per queste e per tutte le altre criticità, sempre… è il suo “stato normale”. Prevedere che ci possa essere una strage come quella della stazione di Madrid, o un terremoto, o un atto bioterroristico o un’epidemia dovrebbe essere previsto (mi risulta anche per legge) per tutte le organizzazioni sanitarie. In realtà occorre prevedere “quali e quanto” di queste emergenze comporti scelte politiche rilevanti, e utilizzare molta chiarezza nello spiegare e giustificare queste scelte (inclusive o esclusive) ai cittadini. Il sistema sanitario del futuro dovrà essere più efficiente ed efficace, più basato sulle cose serie e con meno orpelli, meno medicina difensiva, meno medicina burocratica… e tanto d’altro, tra cui proprio la telemedicina
Domanda n.9
Smart working e affermazione della telemedicina. E’ un parallelismo che si può fare?
La domanda è giustissima: il parallelismo si può e si deve fare. Alla fin fine la telemedicina (vedi editoriale pubblicato su ACSA Magazine di marzo) – oggi usata poco e male e principalmente orientata a controlli amministrativi – è una forma di smart working del medico e del personale sanitario. Ma non è solo questo. I Ministri della Salute della UE, nel lontano 2004, la definivano come “qualsiasi applicazione delle Information e communication technologies che possa rispondere alle necessità dei pazienti, del personale sanitario, dei cittadini e dei governi/amministrazioni”. Definizione finalistica e che parte dal cittadino. Oggi in era COVID essa è essenziale, di più: irrinunciabile. Grazie all’intelligenza e alla forza propulsiva di ACSA e di altre associazioni, già nei primi giorni della crisi pandemica è uscito un documento di consenso che ben descrive cosa fare e come farlo. L’Istituto Superiore di Sanità ha creato un Centro di Telemedicina di alto livello. Abbiamo creato come Digital SIT 4.0 un Centro studi Internazionale di telemedicina (da anni). Esistono sperimentazioni pubblicate, in collaborazione con l’Università della Magna Grecia, che dimostrano l’efficacia delle telemedicina, come quelle ad esempio del progetto Diabete Calabria di DigitCal, che ha aggregato la GPI, la Roche, la Menarini, la Alpha Pharma, e i Medici delle UCCP, progetto che ora in real time si è già adattato per fare fronte alle criticità della pandemia, assieme alle cronicità territoriali maggiori: non si lasciano indietro un anziano con lo scompenso, la BPCO o il diabete. Nonostante queste esperienze, la telemedicina si usa poco, e ogni singola amministrazione (Regione, ASL, Distretto, singolo presidio, singolo individuo) invece di leggere la letteratura scientifica e di programmare azioni concordate (e documentatamente efficaci) attiva propri canali. Non che ciò sia sempre negativo, ma l’autoreferenzialità e la non inclusività e i campanilismi continuano a imperare, anche a fronte di un fenomeno pandemico, anche quando usano la più globalizzante e inclusiva delle armi possibili, che è appunto la telemedicina. La storia della Torre di Babele non ha insegnato ancora nulla ad alcune amministrazioni.
Domanda n.10
Nonostante la disastrosa esperienza che ha sconvolto e messo a dura prova il nostro vivere quotidiano, il nostro modo di pensare, di valutare, di riflettere sui limiti umani, si può ipotizzare qualche aspetto positivo. E’ pretendere troppo o legittimo desiderio?
Il male è consentito dal buon Dio solo perchè ne scaturisca un bene molto maggiore. L’umanità è andata avanti così, a forza di errori e correzione degli errori, di lezioni da imparare subito e altre volte da ristudiare e imparare a memoria prima di averle capite e assimilate. Nella sua giusta domanda è contenuta anche la risposta: il nostro modo di pensare, di valutare, di riflettere sui limiti umani, e, mi permetto di aggiungere, di mettere in discussione il delirio di onnipotenza che caratterizza alcuni uomini (nella politica, nell’economia e nella finanza, e, purtroppo, anche nella scienza), saranno la risposta perfetta alla pandemia e l’umanità potrà fare un grande balzo in avanti dopo essere stata scottata “in toto”. Basta che da adesso in avanti smettiamo di adorare gli idoli (… per di più credendoci davvero! …) e che consentiamo alle donne e agli uomini di buona volontà di rafforzare e migliorare il nostro mondo.
Maria Chiara Voci
Giornalista professionista, autore de Il Sole 24 Ore
Cluster Home Health Hi-Tech
MD PhD, Presidente Digital SIT EmR