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Osservazioni sul consenso informato alla luce di alcune recenti sentenze della Corte Suprema di Cassazione

Le recenti e non sempre serene dispute sui media e, all’interno della società civile, sull’eutanasia,  sul testamento biologico e sulla liceità degli interventi sanitari sottoposti alle forche caudine del consenso informato,  meritano alcune riflessioni anche alla luce di alcune sentenze della Cassazione (sentenze n. 1873 del 23.11.2010, n. 2437 del 20.01.2009, n. 26446 del 11.07.2002 e altre degli anni precedenti), le cui risultanze non sono sempre chiare e spesso troppo penalizzanti nei confronti del sanitario, che vive la propria quotidianità in un ambiente dove il possibile e il probabile sfociano frequentemente in un giudizio terzo di illecito e, anche perché, contro la sua stessa formazione clinico-deontologica è costretto, suo malgrado, ad attuare una medicina difensiva, volta non tanto ad assicurare la salute del paziente ma, come primaria garanzia, a salvaguardare se stesso dalle eventuali responsabilità medico legali relative al suo operare.

Il consenso informato

La problematica del consenso informato del paziente costituisce una delle questioni più delicate nel rapporto tra medico e ammalato sia sul piano della relazione professionale sia su quello di possibili ricadute in caso di controversie, anche giudiziarie, in caso di esito infausto delle cure.

Il consenso informato preoperatorio

Nella vasta problematica relativa al “consenso informato” di cui all’art. 32 del codice di deontologia medica, particolare rilievo assume, anche alla luce di una giurisprudenza non ancora allineata su uniformi criteri di valutazione, il profilo che la questione presenta in quella delicata fase che precede il trattamento chirurgico, soprattutto in un momento storico, come quello attuale, in cui si è avuta una proliferazione – con ampie ricadute nel campo mediatico – di azioni giudiziarie avviate contro i medici in conseguenza dell’esito infausto di alcuni interventi chirurgici.

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