“The sound of silence”: quando il cervello non sente
R. Carlucci*, E. Martinelli*, P. Sapone*, A.M.Cotroneo**
*Geriatra SC Geriatria OMV ASL Città di Torino**Direttore SC Geriatria OMV ASL Città di Torino
Figura 1: Orecchio di Dioniso – Siracusa
Introduzione
Il deterioramento cognitivo è una delle principali cause di disabilità in tutto il mondo e colpisce circa il 6,5% della popolazione di età superiore ai 65 anni[1]. Non ci sono attualmente trattamenti che possano modificare l’andamento della malattia, perciò, concentrare l’attenzione sui fattori di rischio, in particolare su quelli modificabili (cardiovascolari, deprivazione sensoriale-ipoacusia), è fondamentale. In effetti, stanno emergendo dati che testimoniano un calo dell’incidenza della demenza, probabilmente secondari ai cambiamenti sociali e ai miglioramenti delle condizioni di vita e alla miglior gestione del rischio cardiovascolare [1]. Questa tendenza pare incoraggiante, anche alla luce del fatto che l’aumento della spettanza di vita e quindi della popolazione anziana porterà ad un incremento dei soggetti affetti da demenza, con crescenti oneri per i servizi sanitari in tutto il mondo[2]. Figura 2.
La compromissione dell’udito è un problema di salute significativo: l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 5,3% della popolazione mondiale soffre di disabilità per la perdita dell’udito [2]. A partire dalla prima età adulta, l’udito inizia a diminuire gradualmente, in particolare per quanto riguarda i suoni a frequenze più elevate. La prevalenza di perdita dell’udito clinicamente significativa aumenta per tutta la durata della vita, quasi raddoppiando ogni decennio di vita, in modo tale che più di due terzi di tutti gli adulti di età pari o superiore a 60 anni hanno una qualche forma di perdita uditiva clinicamente significativa (Figura 3). La metà di tutti i casi di ipoacusia può però essere prevenuta, attraverso misure di sanità pubblica. [2, 3]
Il rischio di perdita dell’udito aumenta con l’età (age-related hearing loss – ARHL) e si stima che colpisca fino al 40% di coloro che hanno più di 65 anni e fino al 75% di quelli di età superiore agli 80 anni. In Italia sono 7 milioni le persone con problemi di udito, corrispondenti all’11,7% della popolazione. Nel nostro Paese l’ipoacusia riguarda una persona su tre (tra gli over 65). Solo il 31% della popolazione ha effettuato un controllo dell’udito negli ultimi 5 anni, mentre il 54% non l’ha mai fatto. Solo il 25% di coloro che potrebbero averne beneficio usa l’apparecchio acustico, nonostante l’87% di chi ne fa uso, dichiari migliorata la propria qualità di vita. [1]
La perdita uditiva legata all’età – Age-related hearing loss – ARHL
La perdita dell’udito legata all’età (ARHL) è di solito progressiva, bilaterale e porta a una riduzione della propria capacità di comunicare. L’eziologia è spesso multifattoriale con una varietà di determinanti ambientali, medici e genetici. La perdita dell’udito non trattata può impattare negativamente lo stile di vita di una persona e contribuire all’isolamento sociale, alla perdita di autostima, alla riduzione della qualità della vita e all’aumento del rischio di malattie psichiatriche-neurologiche. La gestione di ARHL è relativamente semplice, ma gli apparecchi acustici sono costosi e solo circa un terzo di coloro che possono beneficiare di tali dispositivi li acquista effettivamente, ma una percentuale significativa di questi non li utilizza correttamente[4].
La riduzione delle capacità uditive legate all’età colpisce gradualmente ogni persona durante la vita. La capacità di sentire dipende dall’orecchio interno (coclea) che codifica con precisione i suoni in segnali neurali, che vengono poi elaborati e decodificati in significato a livello corticale. I processi patologici che si verificano a qualsiasi livello di questo percorso, dall’orecchio all’encefalo, possono influenzare negativamente l’udito, ma la perdita dell’udito legata all’età che coinvolge la coclea è la causa più comune.[1]
La perdita dell’udito legata all’età è caratterizzata dalla progressiva perdita delle cellule ciliate sensoriali dell’orecchio interno, che sono responsabili della codifica del suono in segnali neurali. A differenza di altre cellule in tutto il corpo, le cellule ciliate sensoriali nell’orecchio interno non possono rigenerarsi e queste cellule vengono progressivamente perse nel corso della vita a causa degli effetti cumulativi di più processi eziologici. I fattori di rischio maggiormente associati alla perdita dell’udito legata alla senilità, includono l’età avanzata, il colore della pelle più chiaro (come indicatore della pigmentazione cocleare – la melanina è protettiva nella coclea), il sesso maschile e l’esposizione al rumore. Altri elementi di rischio includono i fattori di rischio cardiovascolari come diabete, fumo e ipertensione, che possono contribuire a lesioni microvascolari a carico dei vasi sanguigni cocleari.[5]
Nelle fasi iniziali, ARHL in genere influisce sull’udibilità delle frequenze più alte (6.000-8.000 Hz), che interferisce con la comprensione di un discorso normale sia in condizioni tranquille sia rumorose; la perdita uditiva si estende, con l’aumentare dell’età alle frequenze medie e basse. In ambienti urbani, la disabilità uditiva è molto comune, in quanto il rumore intenso può peggiorare il deterioramento dell’udito determinato dall’invecchiamento parafisiologico. ARHL, di solito diagnosticato nella fase in cui la comprensione del parlato è già compromessa, in fase iniziale è spesso sottodiagnosticato e di conseguenza, sottotrattato.
Figura 4: Diversi tipi di compromissione dell’udito legata all’età, tra cui atrofia della stria vascolare, perdita di cellule ciliate e degenerazione primaria del neurone cocleare I cambiamenti specifici osservati nella stria vascolare includono cambiamenti morfologici legati all’età come numerosi vacuoli citoplasmatici, allargamento degli spazi intracellulari e irregolarità dei mitocondri e dei suoi costituenti, in particolare la disorganizzazione delle creste. Questi cambiamenti hanno dimostrato di essere precipitati dal danno ossidativo e dalla downregulation di TMEM16A, un canale del cloruro attivato dal calcio. È stato dimostrato che la malattia o il trauma cocleare danno luogo alla perdita di cellule ciliate, con potenziali fattori causali tra cui l’esposizione continua al rumore industriale, le specie reattive di ossigeno e la carenza di Superossido dismutasi (SOD1). La degenerazione neurale primaria attraverso la disconnessione dei neuroni uditivi dai loro bersagli delle cellule ciliate durante l’invecchiamento ha dimostrato di innescare la perdita di cellule ciliate. Gli studi hanno identificato che la perdita di GABA nel nucleo centrale del collicolo inferiore e l’accumulo di specie reattive di ossigeno hanno portato alla presbicosi neurale. CAP, elaborazione uditiva centrale; ROS, specie reattive dell’ossigeno [6]. |
Perdita uditiva legata all’età e deterioramento cognitivo
La perdita dell’udito è stata recentemente proposta come fattore di rischio per la demenza, ma i meccanismi che correlano le due patologie non sono ancora completamente chiariti. Essa può accelerare il deterioramento cognitivo lieve esistente aumentando il carico cognitivo e/o esaurendo le strategie compensative cognitive esistenti, inoltre potrebbe contribuire ad aumentare l’isolamento sociale portando a pratiche di vita meno sane, legate alla tendenza all’isolamento (ad esempio fumo, obesità, abuso di alcol) e aumento dei sintomi depressivi. Potrebbe anche indurre alla perdita di volume nella corteccia uditiva e in altre aree del cervello e interrompere l’integrità dei tratti uditivi centrali della sostanza bianca e la riorganizzazione corticale. Inoltre, la compromissione dell’udito sembra accelerare l’atrofia cerebrale nel giro temporale superiore, medio e inferiore e nell’ippocampo, aree del cervello comunemente implicate nella malattia di Alzheimer. Infine, sono stati descritti cambiamenti istopatologici (degenerazione, placche e grovigli fibrillari) del sistema uditivo nel cervello delle persone con malattia di Alzheimer[7].
Sulla base di tali studi la Commissione Lancet sulla demenza ha concluso, nel 2020, che la perdita dell’udito nella vita media e tarda è uno dei principali fattori di rischio potenzialmente modificabile per la demenza, rappresentando l’8% di tutti i casi di demenza. I principali meccanismi attraverso i quali la perdita dell’udito rappresenti un fattore di rischio di declino cognitivo e demenza includono gli effetti negativi legati alla perdita dell’udito stesso e la codifica uditiva impoverita del suono sul carico cognitivo, l’atrofia cerebrale e l’isolamento sociale [3].
ARHL centrale rispetto a quello periferico
In alcuni individui, i problemi di udito sono determinati dalla disfunzione della capacità uditive centrali (Central Auditory Processing-CAP) piuttosto che da un deficit periferico del sistema uditivo, tali soggetti non presentano problemi con la comprensione del parlato in un ambiente tranquillo, ma, tipicamente, in genere hanno seri problemi nella comprensione di una conversazione in un ambiente rumoroso, specialmente quando sono presenti discorsi in contemporanea e in competizione attentava tra loro. I deficit uditivi periferici e la disfunzione CAP dovrebbero essere valutate entrambe: anche se la compromissione della funzione uditiva periferica è forse la componente patologica primaria dell’ARHL precoce, la disfunzione CAP diventa sempre più importante negli stadi più tardivi di ARHL.[8]
Diverse procedure sono utilizzate per diagnosticare il coinvolgimento delle vie centrali e periferiche (riquadro 1). La valutazione della funzione uditiva periferica include il self-report e alcuni test di screening (come Hearing Handicap Inventory for the Elderly-short form a 10 items) o una valutazione clinica di primo livello per la perdita dell’udito (come la voce parlata o il finger friction tests), o ancora test di screening audiometrico (audiometri portatili, audio portatile) e test audiometrici diagnostici (come l’audiometria a tono puro in una cabina insonorizzata per testare la soglia acustica). Le misure della CAP variano da un semplice test di ribaltamento uditivo (il rollover si riferisce alla distorsione di parole che si verificano ad alte intensità di segnale) a complesse misure comportamentali basate sul linguaggio (eseguire un’azione in risposta ad un segnale sonoro – synthetic sentence identification with either an ipsilateral competing message [SSI-ICM] or a contralateral competing message; the dichotic digit test [DDT]; or the dichotic sentence identification [DSI] test).[9]
Valutazione della funzione uditiva periferica ■ Self-reported hearing impairment ■ Clinical screening tests (spoken and/or whispered voice, watch tick, finger friction) ■ Audiometria tonale ■ Test di screening (10-item Hearing Handicap Inventory for the Elderly Screening Version [HHIE‑S]) |
Valutazione dell’elaborazione uditiva centrale ■ Auditory rollover test ■ Synthetic Sentence Identification with either Ipsilateral Competing Message (SSI-ICM) or Contralateral Competing Message (SSI-CCM) ■ Speech Perception In Noise (SPIN) ■ Dichotic Digit Test (DDT) ■ Dichotic Sentence Identification (DSI) test ■ Staggered Spondaic Words (SSW) test |
Tabella 1: test per valutare la compromissione dell’udito legata all’età |
ARHL e compromissione cognitiva
L’evidenza di una possibile associazione tra la compromissione dell’udito e deficit cognitivo, che suggeriva che la perdita dell’udito era più comune nei pazienti con demenza, piuttosto che negli anziani sani, è stato pubblicato 50 anni fa. La maggior parte degli studi ha rilevato un’associazione tra ARHL e deterioramento cognitivo. [10]
Il contributo specifico del deficit uditivo periferico e centrale nei confronti dei disturbi cognitivi della tarda età può essere difficile da determinare, soprattutto nelle fasi iniziali.
È stato, inoltre, segnalato che la correlazione tra deficit uditivo e deterioramento cognitivo colpisce diversi domini cognitivi, quali la memoria verbale, quella episodica e semantica a lungo termine, nonché la funzione esecutiva funzione esecutiva e l’elaborazione psicomotoria.[11] Il funzionamento esecutivo è compromesso nei pazienti con Demenza di Alzheimer, e molti dei componenti coinvolti nella CAP, come la memoria a breve termine, l’attenzione al compito e l’inibizione di segnali irrilevanti, potrebbe anch’esso comportare alterazioni sul funzionamento esecutivo. Infatti, molte misure del funzionamento uditivo centrale (SSI-ICM, DDT e DSI) e test cognitivi di funzione esecutiva (Trail-making Tests A and B, Stroop Colour Test, Word Test) esplorano dimensioni simili (ad esempio, Inibizione comportamentale) del controllo esecutivo.[9]
Nel Framingham Heart Study, la disfunzione CAP in un orecchio (valutata con SSI-ICM) è stata associata ad un aumento di sei volte del rischio di successivo declino cognitivo o sviluppo di demenza nell’arco di 6 anni, il periodo di follow-up e deficit della CAP in entrambe le orecchie ulteriormente ha raddoppiato il rischio. [12]
I dati della letteratura suggeriscono che i deficit a carico della CAP potrebbero essere un indicatore precoce di Mild Cognitive Impairment o di Malattia di Alzheimer.
Figura 5: Meccanismo 1: l’eziopatologia comune alla malattia di Alzheimer (AD) o alla malattia vascolare colpisce la coclea e/o la via ascendente (causando perdita dell’udito) e il lobo temporale mediale (MTL) (causando demenza). Meccanismo 2: l’ambiente impoverito causato dalla perdita dell’udito porta ad un’alterazione della struttura cerebrale nella corteccia uditiva e nell’ippocampo e a una diminuzione della riserva cognitiva, e quindi a una diminuzione della resilienza alla demenza. Meccanismo 3: l’aumento dell’attività cerebrale nell’MTL e una rete più ampia durante l’analisi speech-in-noise compete per le risorse all’interno di quella rete che sono necessarie anche per altri aspetti della maggiore cognizione. Sosteniamo nel testo che questo potrebbe essere un modello migliore per i deficit cognitivi negli anziani a causa della perdita dell’udito rispetto alla demenza di per sé. Meccanismo 4: interazione tra l’attività alterata correlata all’analisi del modello nel MTL durante l’ascolto difficile e la patologia dell’AD. Il modello si basa sullo stesso meccanismo per l’aumento dell’attività del meccanismo 3, ma differisce nell’incorporazione di un’interazione specifica con le basi molecolari dell’AD. Questo si basa su un’interazione tra l’aumento dell’attività e i cambiamenti sinaptici associati all’AD. Consideriamo anche un meccanismo nel testo dovuto alla diminuzione dell’attività che interagisce con la patologia dell’AD (non mostrato qui). AAC, corteccia di associazione uditiva; CN, nucleo coclea; IC, collicolo inferiore; MGB, corpo geniculato mediale; MTL, lobo temporale mediale; PAC, corteccia uditiva primaria. |
ARHL, deterioramento cognitivo e fragilità
ARHL è anche un importante indicatore di fragilità negli anziani. La fragilità riflette uno stato non specifico di vulnerabilità, è un cambiamento fisiologico multisistemico che predispone un individuo a esiti avversi per la salute, come la disabiIità, le cadute, l’istituzionalizzazione, l’ospedalizzazione e la morte, ed è di grande importanza nella cura clinica degli anziani.[14] I fattori psicologici, cognitivi e sociali contribuiscono tutti a questa sindrome multidimensionale. Il deterioramento cognitivo è un fattore indipendente statisticamente significativo [15] per esiti avversi a carico dello stato di salute, perciò una valutazione, gestione e prevenzione dei fattori che contribuiscono a determinare una condizione di fragilità potrebbero essere importanti per prevenire gli eventi avversi recati ai deficit cognitivi, quali, ad esempio il delirium e i disturbi neurocognitivi maggiori [13].
Perciò è importante valutare la relazione tra età e cambiamenti correlati nella funzione uditiva periferica e elaborazione uditiva centrale nella modulazione del rischio di sviluppare deterioramento cognitivo e come la fragilità potrebbe mediare l’associazione tra ARHL e capacità cognitive in età avanzata.
Il crescente corpo di prove epidemiologiche che collegano ARHL al declino cognitivo della tarda età, ha proposto vari potenziali meccanismi alla base di questa associazione (Figura 6), alcuni dei quali potrebbero essere coinvolti in percorsi causali che collegano ARHL e cognitività, mentre altri potrebbero costituire processi patologici comuni o vie eziologiche condivise che influenzano entrambe.
Figura 6: | Compromissione dell’udito, fragilità e declino cognitivo: una panoramica dei principali meccanismi sottostanti che collegano le diverse componenti della ARHL: disfunzione uditiva periferica e uditiva centrale, disfunzione di elaborazione, con modelli di fragilità, lieve deterioramento cognitivo, morbo di Alzheimer e declino cognitivo in età senile[16]. |
Durante lo svolgimento di compiti cognitivi la coesistenza di disturbi dell’udito influisce negativamente sulle prestazioni sia nella valutazione testistica, sia in ambito riabilitativo, in quanto giungono al paziente delle informazioni “degradate”. Pertanto, la correzione dei deficit uditivi con device dedicati (ausili acustici digitali, impianti cocleari) potrebbe migliorare direttamente l’elaborazione percettiva del discorso e quindi migliorare le funzioni cognitive.
Inoltre, la sovradiagnosi dell’ARHL periferico – e quindi, la sottodiagnosi di demenza può essere una problematica non indifferente, tuttavia nei soggetti con deterioramento cognitivo subclinico, l’affidabilità dei test audiometrici sembra essere conservato. [13]
Evidenze epidemiologiche e neuropatologiche sottolineano come l’isolamento sociale e la solitudine, come conseguenza dei deficit della comunicazione causate da ARHL possono determinare un declino cognitivo fino ad un disturbo neurocognitivo maggiore[17]. Si è osservata anche una riduzione della riserva cognitiva associata a deficit della comunicazione, rappresentando così un legame tra ARHL e deficit cognitivo. Inoltre, la riserva cognitiva tiene conto delle differenze interindividuali nella suscettibilità ai cambiamenti cerebrali legati all’età o alla patologia correlata all’AD, modulando così l’interazione tra neuropatologia e deficit cognitivo. [18]
Studi sulla riserva cognitiva con l’utilizzo di risonanza magnetica funzionale i cui partecipanti presentavano un’acuità uditiva periferica moderatamente ridotta ha mostrato il reclutamento di regioni cerebrali compensative a carico della corteccia prefrontale e temporoparietale durante l’elaborazione di un discorso che potrebbe spiegare la conservazione generale della comprensione del linguaggio anche nella fase avanzata della demenza. Tuttavia, l’esaurimento della riserva cognitiva per aiutare a compensare il deficit uditivo e di elaborazione potrebbe ridurre le risorse neurali disponibili per altri processi cognitivi, come la working memory e velocità percettiva, accelerando e determinando la comparsa di deficit cognitivi[19].
Infine, diversi fattori associati alla fragilità fisica, tra cui i markers infiammatori, ormoni, fattori nutrizionali, disturbi metabolici, e in particolare il diabete mellito, insufficienza cardiaca congestizia e ictus, sono anche legati al deterioramento cognitivo, suggerendo che la fragilità e il deterioramento cognitivo condividono una sottostante patogenesi, probabilmente legata ai determinanti vascolari. Dal momento che insulti vascolari possono determinare sia ARHL sia deficit cognitivi vi potrebbe essere un percorso comune per ARHL e fragilità. Infatti, sia studi di popolazione basati su dati neuropatologici, sia studi su animali hanno suggerito che alcuni fattori di rischio vascolare, come l’aterosclerosi generalizzata, l’apolipoproteina E variante ε4, potrebbero contribuire a ARHL[20]. Inoltre, la forte associazione riportata tra funzione uditiva esecutiva e centrale suggerisce un meccanismo comune. Se la disfunzione di CAP è un indicatore del declino della funzione esecutiva esso rimane in gran parte inesplorato al momento. Altri possibili mediatori del legame tra ARHL e deterioramento cognitivo rappresentano un fenotipo clinico complesso, in cui più fattori genetici e ambientali interagiscono: la variazione del gene del recettore del glutammato che modifica la suscettibilità all’eccitotossicità del glutammato, nonchè l’upregulation della via SIRT3, che regola la produzione di superossido e antiossidanti nei mitocondri[21].
Strategie di cura
Una strategia per affrontare la perdita dell’udito legata all’età è quella di migliorare l’accesso di una persona alla parola e ad altri suoni nell’ambiente uditivo (ad esempio, musica e avvisi acustici) per promuovere una comunicazione efficace, l’impegno con le attività quotidiane e la sicurezza. Al momento, non ci sono terapie riparative per la perdita dell’udito legata all’età e la gestione della condizione si concentra sulla protezione dell’udito, sull’adozione di strategie di comunicazione per ottimizzare la qualità del segnale uditivo in arrivo (sul rumore di fondo concorrente) e l’uso di tecnologie dell’udito come apparecchi acustici e impianti cocleari. [22]
Le strategie di comunicazione includono l’incoraggiamento delle persone ad essere faccia a faccia e a distanza quando conversano per migliorare la comprensione e per ridurre il rumore di fondo. La comunicazione faccia a faccia consente sia di ricevere un segnale uditivo più chiaro sia all’ascoltatore di avere accesso visivo alle espressioni facciali e ai movimenti delle labbra che possono aiutare nella decodifica centrale del segnale vocale.
Gli apparecchi acustici rimangono l’opzione di trattamento primaria per la perdita dell’udito legata all’età: amplificano il suono e quelli più avanzati possono anche aumentare il rapporto segnale-rumore del suono di destinazione desiderato (ad esempio, amplificando la voce di un altoparlante sul rumore di fondo) per mezzo di microfoni direzionali e processo di segnale digitale, che è fondamentale per migliorare la comunicazione in ambienti rumorosi[24].
Una revisione sistematica della Cochrane ha concluso che gli apparecchi acustici negli adulti migliorano sia gli outcome udito-specifico sia sulla salute generale, e la qualità della vita.[23]
Le persone che hanno una perdita dell’udito di maggiore severità e che continuano ad avere difficoltà a comprendere il linguaggio nonostante l’uso di apparecchi acustici possono essere candidate per un impianto cocleare. L’impianto cocleare è un dispositivo neuroprotesico che codifica i suoni e stimola direttamente il nervo cocleare. Viene impiantato da un otorinolaringoiatra durante l’intervento chirurgico del paziente che dura circa 2 ore. È necessario un periodo da 6 a 12 mesi dopo l’impianto per abituarsi a sentire e a percepire gli stimoli neuroelettrici come linguaggio e suono significativi. Sebbene ci sia una varianza nei risultati dell’udito dopo un impianto cocleare, il miglioramento della comprensione del parlato e della comunicazione è spesso descritto come “che cambia la vita” da molti adulti che avevano a lungo lottato per comunicare adeguatamente.[24]
Figura 7: Una sintesi fisiopatologica della compromissione dell’udito e della demenza. Questa figura schematizza le relazioni proposte tra lo sviluppo della perdita dell’udito periferica (blu), i cambiamenti nella cognizione uditiva (giallo) e nella funzione cognitiva generale (rosso) e la neurodegenerazionesottostante (nero), sulla base di prove epidemiologiche e fisiopatologiche emergenti. La perdita dell’udito può essere considerata un potenziale fattore di rischio causale per il declino cognitivo (rischio), un marcatore di prossimità per la demenza incipiente (proximità) o una caratteristica della sindrome da dementigena (fenotipo), in base alla finestra temporale in cui si verifica; i meccanismi di questi effetti sono distinti ma probabilmente interdipendenti. La malattia di Alzheimer è stata l’obiettivo principale degli studi epidemiologici che valutano il rischio di sviluppare demenza in associazione con la perdita dell’udito; la perdita dell’udito può rappresentare il 10% di tutti i casi di demenza ed è stato proposto che abbia un effetto potenziante diretto (freccia) sull’evoluzione della neurodegenerazione. Sebbene il meccanismo di questo collegamento non sia chiaro, i modelli animali suggeriscono che potrebbe verificarsi attraverso effetti cellulari come lo stress ossidativo o l’alterazione dell’espressione genica, cambiamenti nella funzione del circuito neurale o una complessa interazione tra l’attività del circuito aberrante e la diffusione proteica. Tuttavia, non è stato stabilito un effetto causale diretto: ad esempio, la funzione uditiva periferica non era associata alla deposizione di amiloide cerebrale (un marcatore preclinico relativamente specifico della malattia di Alzheimer) in una vasta coorte di anziani cognitivamente sani e tale effetto non rappresenterebbe ancora la maggior parte dei casi di demenza con alterazioni dell’udito. Qui suggeriamo che le alterazioni nell’udito “centrale” o nella cognizione audiotoria possono costituire un segnale di allarme precoce di demenza incipiente, a causa delle esigenze computazionali imposte dall’ascolto in ambienti acustici quotidiani impegnativi. A sostegno di questa idea, è stato dimostrato che i deficit uditivi prevalentemente centrali (che coinvolgono, ad esempio, l’ascolto dicotico) prevedono i livelli di tau del liquido cerebrospinale e i profili di atrofia regionali coerenti con la patologia della malattia di Alzheimer negli studi trasversali e lo sviluppo longitudinale di una sindrome clinica compatibile con la malattia di Alzheimer, mentre ampie indagini genetiche e neuropatologiche hanno suggerito che i cambiamenti nell’udito (in particolare, la percezione del discorso nel rumore) possono essere un marcatore preclinico della neurodegenerazione. Sottolineiamo che è probabile che i deficit dell’udito periferico e centrale e le funzioni cognitive più generali interagiscano fortemente, con il “ciclo vizioso” [27]. |
Conclusioni
Negli ultimi anni, un’attenzione crescente è stata rivolta alla possibile connessione tra la deprivazione sensoriale, lo sviluppo di un deterioramento cognitivo nella tarda età, in quanto tali deficit sono stati associati a un’accelerazione del declino cognitivo. I device correttivi tali deficit (ie, protesi acustiche, ecc), l’allenamento cognitivo potrebbero contribuire a ritardare o prevenire l’insorgenza del declino cognitivo e conseguentemente alleviare la fragilità e il rischio di sviluppare comorbidità e disabilità.
Alcuni studi randomizzati controllati (RCT) hanno dimostrato miglioramento della funzione cognitiva negli utenti di apparecchi acustici senza deterioramento cognitivo, o con demenza, suggerendo che gli interventi che ripristinano l’udito potrebbero essere efficaci per alleviare il deficit cognitivo della tarda età. Inoltre, l’uso di apparecchi acustici può essere uno strumento efficace non solo per minimizzare la disabilità percepita negli individui più anziani, ma anche per ridurre il carico assistenziale del caregiver migliorando la capacità di comunicazione dei pazienti.[26] ARHL è spesso incluso nelle definizioni operative di fragilità e deterioramento cognitivo e spesso rappresenta un legame biunivoco, che tuttavia se adeguatamente trattati e gestiti possono ridurre il rischio.
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